Simboli eucaristici, cattedrale di Lugo (Spagna). |
Il Vangelo
della salute del Triduo Pasquale
Giovedì
santo, "In coena Domini".
Li amò sino
alla fine
DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI
(13, 1-15).
Prima
della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da
questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino
alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di
Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto
nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose
le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò
dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli
con l’asciugamano di cui si era cinto.
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Parola del Signore.
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Il Giovedì
santo si caratterizza per due particolari celebrazioni liturgiche.
La prima è la
S. Messa “Crismale” che si svolge in
mattinata nelle cattedrali di tutto il mondo, dove si riuniscono tutti i
sacerdoti delle varie Diocesi attorno al loro Vescovo per ringraziare il
Signore di essere stati chiamati al suo servizio nel ministero sacerdotale,
rinnovare gli impegni assunti con l’ordinazione sacerdotale e consacrare gli
olii santi, e cioè l’olio dei catecumeni usato nel battesimo per liberare dal
peccato originale, olio degli infermi per l’omonimo sacramento e il sacro
crisma usato nel battesimo e nella cresima per significare il dono dello
Spirito Santo e nel sacramento dell’ordine per ungere le mani del sacerdote che
d’ora in poi agisce “in persona Christi”,
soprattutto nelle celebrazioni dei sacramenti e in tanti altri atti
ministeriali. “Le mani del sacerdote sono
le mani del Signore Gesù e la sua benedizione è più potente della mia”, ha
detto la Madonna in una delle sue apparizione di questi ultimi tempi, per questo
c’è la tradizione da parte dei fedeli di baciare le mani del sacerdote.
Nel
pomeriggio del Giovedì santo segue la S. Messa “in coena Domini”, celebrazione per eccellenza della Caritas divina
e dell’agape fraterna, con al centro il sacramento dell’Eucaristia nel quale le
due realtà si fondono. Con questa liturgia inizia la celebrazione del triduo
pasquale, “centro di tutto l’anno
liturgico, che culminerà nella Domenica di Pasqua”, come recita l’annuncio
pasquale del giorno dell’Epifania. Al cuore di questa nostra celebrazione c’è
il mistero dell’Amore, che è il mistero stesso di Dio, realtà che dà senso al
nostro vivere e a tutto ciò che siamo oltre i confini ristretti della nostra consapevolezza
e della nostra esistenza terrena. L’amore è fondamentale per la vita di
ciascuno, tutti abbiamo bisogno di essere amati e la nostra maturazione umana consiste
nel raggiungere la capacità di ricambiare l’amore, mettendo in gioco noi stessi.
Tutti siamo alla ricerca del vero amore e, prima o poi, nella vita viene il momento
in cui sentiamo l’urgenza di amare qualcuno, secondo il comandamento che ci ha
lasciato Gesù nell’ultima cena: “Vi do un comandamento nuovo: che vi
amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni
gli altri.” (Gv 13,34), se non altro per star bene con noi stessi, pur consapevoli
di esporci ad un rischio che ci può costare anche molto caro. Nell’intricato
universo della nostra interiorità non è sempre facile poi distinguere tra
egoismo ed generosità disinteressata, quando finisce uno e comincia l’altro. Su
questo equivoco gioca la cultura moderna, quando proclama: “L’amore viene prima di tutto!”, inneggiando
ad un brodo culturale dominato dall’individualismo, dove è vietato parlare di
bene e di male. Pur tuttavia non si po’ far a meno di amare, se non gli altri,
almeno se stessi. Ne va della nostra stessa vita! L’esperienza dell’essere
amati è la matrice di tutto quello che noi diventiamo nello sviluppo progressivo
della nostra esistenza.
Siamo venuti
all’ultima cena di Gesù per lasciarci guidare da lui: “Prima
della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da
questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino
alla fine.” (Gv 13,1). Con poche
parole Giovanni esprime la straordinaria consapevolezza con cui Gesù affronta
questo momento per ciò che è, per ciò
che sta per fare e per ciò che sta per accadere, riassunto in quel: “Li amò fino alla fine”. Gesù sente in questo
momento sopra di sé la stretta mortale degli eventi a cui accetta di
sottomettersi. Lui, che ha vissuto soltanto per amore degli altri, ora deve
soccombere per mano di coloro che questo suo amore lo hanno da sempre rifiutato,
alleati più o meno consapevoli del demonio, che lo aspettava al varco nel
momento della sua massima debolezza (cfr. Lc 4,13) e più di ogni altro voleva impedire
il disegno di Dio. Il mistero del Male trova adepti anche tra le stesse persone
che Gesù porta con sé. Ma l’unica sua preoccupazione rimane quella di “amare fino alla fine”. Come è possibile
questo? Come non ribellarsi ad un destino tanto infame? Come si fa a restare
fermi al proprio posto, invece di fuggire lontano, abbandonando tutto e tutti e
pensare soltanto a se stessi? Questo è quello che noi siamo capaci di fare e
magari abbiamo fatto tante volte … fuggire, girarci dall’altra parte, far finta
di non vedere per poi rischiare di soffocare sotto i colpi dei sensi di colpa e
di assurde auto giustificazioni … Da una
parte il nostro egoismo, dall’altra l’atteggiamento di Gesù deciso ad ‘amare fino alla fine’. In che cosa consiste
questo amore? Non è questione di emozioni e sentimenti, tutte quelle cose lasciano
il tempo che trovano, non è fatto di ricatti e di contropartite, non lega
nessuno, anzi genera libertà, guarisce le ferite e rinnova profondamente
l’esistenza di chi lo accoglie, perché rende desiderosi di amare allo stesso
modo. E’ l’incontro con Dio, che non soltanto salva l’uomo dal mistero del Male,
ma lo innalza a quell’ “immagine e somiglianza” divina, come lo aveva
creato, fin a contemplare il suo volto, la scoperta di un Padre misericordioso,
come non avremmo ami immaginato! Un incontro che trasforma la vita
misteriosamente e inesorabilmente in un atto di amore, senza soluzione di
continuità. E’ l’incontro con Gesù nell’Eucaristia.
La lavanda
dei piedi è il gesto simbolo che concretamente ci fa capire la Caritas divina,
che trova poi la sua massima espressione nel sacrificio della vita di Gesù: “… questo è il mio corpo, … questo è il mio
sangue … dato per voi, per la remissione dei peccati”.
Giovanni non
riporta, come i Sinottici e Paolo, i gesti e le parole sul pane e sul calice.
Fa però esplicito riferimento a Gesù, pane di vita nel famoso discorso seguito
alla moltiplicazione dei pani al capitolo 6°, ambientato nella sinagoga di
Cafarnao, quando dice: “Io sono il
pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il
pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (6,51). L’Eucaristia è la
via maestra attraverso cui diveniamo partecipi dell’Amore di Dio, una realtà
che ci trasforma interiormente più per le peculiarità intrinseche del
sacramento, che per un d’atto di ragionevole consapevolezza. L’Eucaristia è la
fonte dell’amore fraterno di cui il mondo è eternamente assetato: “fiumi di acqua viva
sgorgheranno dal suo seno” ( Gv 7,38). Che non manchi mai questo “Amore” nei nostri
cuori!
don Marco
Belladelli.
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