Caravaggio, Risurrezione di Lazzaro, 1608/9, Messina. |
V Domenica di Quaresima “A”
Io sono la resurrezione e la vita.
DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (11, 1-45).
In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di
Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il
Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato.
Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è
malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte,
ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga
glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era
malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai
discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco
fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non
sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa,
perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché
la luce non è in lui».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.
Parola del Signore.
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La quinta Domenica di Quaresima nella liturgia preconciliare era il
giorno della “velatio”, quando cioè in
prossimità della Settimana Santa si coprivano tutte le immagini sacre, quadri,
statue e soprattutto le croci e i crocifissi (eccetto i quadri della Via Crucis), per evidenziare il dramma
dell’assenza di Dio la vita dei fedeli e alimentare nel loro cuore un forte
desiderio della Pasqua. Il Venerdì santo il crocefisso verrà solennemente
scoperto e posto al centro dell’altare per la venerazione dei fedeli, quale
nuovo “albero della vita” e fonte di salvezza, come dice l’apostolo Pietro,
riprendendo le parole del profeta Isaia: “Dalle sue piaghe siete
stati guariti” (1Pt 2,24; cfr Is 53,5).
Dopo l’incontro con la Samaritana
e la guarigione del Cieco nato, oggi
ascoltiamo la risurrezione di Lazzaro,
il terzo brano giovanneo che accompagnava i catecumeni verso il Battesimo, e
noi oggi alla celebrazione della Pasqua. Possiamo dividere il testo liturgico
in tre parti: l’indugio iniziale e l’incomprensione degli apostoli; il dialogo
con le sorelle e la compassione fino alle lacrime; il miracolo della risurrezione
e la fede di molti.
In tutto il racconto è evidente la centralità di Gesù che trova la sua
massima espressione nell’affermazione: “Io sono la risurrezione e
la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me,
non morirà in eterno”. E’ il più grande miracolo compiuto da Gesù,
annuncio della sua prossima passione, morte e risurrezione, rivelatore della
sua identità divina, del suo rapporto con Dio Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola”(Gv 10,30), e della sua potenza
salvifica.
Il passaggio dalla morte alla vita eterna, non avviene per una fede
generica nell’aldilà, ma attraverso Gesù. E’ lui che con la sua morte e
risurrezione ci dona la vita vera. Gesù sapeva bene che cosa stava per fare e perché lo faceva. Lo si
evince dal suo indugiare iniziale, dal dialogo con le sorelle e dalla preghiera
al Padre che precede il miracolo: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo
che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno,
perché credano che tu mi hai mandato”. L’ordine imperativo di scoperchiare il sepolcro e
il grido potente che rianima un cadavere di quattro giorni sono ulteriori segni
che manifestano la sua identità e unione con il Padre e il valore e significato
della sua missione. Tutto “è per la gloria di Dio”, cioè è rivelazione della
potenza divina nello straordinario miracolo della risurrezione e segno di
salvezza per tutta l’umanità. Come dice Sant’Ireneo: “La gloria di Dio è l’uomo
vivente”. Per l’uomo la salvezza e la vera vita cominciano quando
si apre alla fede. Il racconto inizia da queste premesse: “Lazzaro è morto e io sono
contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate” (v.15), e termina con la
fede di molti: “Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista
di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.”(v.45). Il testo liturgico
non lo riporta, ma Giovanni mette in risalto il
paradosso: da una parte Gesù risuscita un morto, rivelandosi come la
risurrezione e la vita del mondo, dall’altra questo evento diventa per i Giudei
la ragione della sua condanna a morte non più procrastinabile (11,49ss),
proprio nel momento in cui si rivela come “la
risurrezione e la vita”.
La straordinarietà del gesto compiuto da Gesù con la risurrezione di
Lazzaro consiste nella sconfitta della morte, la conseguenza più grave e più
drammatica del peccato, non tanto come limite naturale e invalicabile che
delimita l’esistenza umana, ma per la drammaticità e il senso di perdizione che
sempre caratterizzano questo evento. Di fronte ad essa l’uomo è sempre
costretto a soccombere. S. Paolo la qualifica come il nemico per eccellenza
dell’uomo (cfr. 1Cor 15,26). Non soltanto Gesù è più forte della morte, ma
attraverso di lui abbiamo accesso alla gloria di Dio. Il comportamento di Gesù
evoca l’agire stesso di Dio nella sua onnipotenza creatrice. In lui, Dio è
venuto a cercare ciò che e perduto (cfr. Gv 6,39; Lc 15,24), per innalzare
l’uomo ad una dignità qualitativamente nuova, assolutamente inaspettata e per di
più immeritata. Abbiamo a che fare con un Dio che per amore delle proprie
creature non si ferma neppure davanti alla morte. Il risultato finale di questo
atto di salvezza è la vita eterna, di una qualità superiore rispetto a quella
naturale che ci ritroviamo tra le mani. Nella sua volontà di salvezza, Dio
raggiunge l’uomo anche quando è già cominciato il suo processo di
decomposizione, cioè oltre qualsiasi limite naturale e soprannaturale. E c’è
ancora chi, chiuso in se stesso e accecato dal suo amor proprio e dalla
superbia, rifiuta ciò che Dio ha fatto e continua a fare per lui.
Buona conclusione della Quaresima!
don Marco Belladelli.
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