Quo vadis, Petre?/2
L’
11 Febbraio 2013 resterà nella storia come il giorno delle dimissioni di Papa
Benedetto XVI. Per dirla col Manzoni, un annuncio che ha lasciato tutto il
mondo attonito come non mai. Gli unici ad essere stati preventivamente informati
della decisione del Papa furono i vertici della Curia romana, come mi confidò
una persona addentro alle cose del Vaticano. Poco dopo la diffusione della
notizia, l’amico Romano Gandossi, allora Direttore di questa testata, mi chiese un editoriale sulla notizia per il giorno seguente, a cui diedi lo stesso titolo di oggi e al termine del quale formulai un dubbio, che suscitò l’irritazione pubblica dell’allora Vescovo di Mantova, come mi riferirono persone presenti in Duomo alla celebrazione delle ceneri. L’interrogativo che mi facevo e che ripropongo è il seguente: “Nel rispetto per ciò che Benedetto XVI ancora incarna, … e per l’uomo, Joseph Ratzinger, che nel travaglio della sua coscienza ha preso questa grave decisione, contro la quale nessuno può andare, a mio modesto parere resta aperta una grande domanda: tutto questo è volontà di Gesù Cristo?”. La mia intenzione non era quella di mancare di rispetto a Benedetto XVI, Papa che, oltre al dovuto ossequio, ho sempre stimato e che considero come un Padre della Chiesa dei nostri giorni, ma porre una questione più generale, e cioè: per fare la volontà di Dio, come diciamo ogni giorno nel ‘Padre nostro’, per un cristiano è sufficiente seguire la propria coscienza, o in certe situazioni molto speciali che esigono eroismo è necessario abbandonarsi a Cristo, oltre ogni umana capacità di comprensione? L’altro tema sotteso al mio quesito riguardava il presente e il futuro prossimo della Chiesa. Il proverbio popolare recita che “morto un Papa, se ne fa un altro”, ma le dimissioni di un Papa non sono paragonabili alla sua morte. Mentre quest’ultima è inequivocabilmente segno di una volontà divina, non lo sono allo stesso modo tutte le decisioni umane, anche se esito della coscienza più retta possibile. Le dimissione di un Papa, in un tempo così particolare come quello che stiamo vivendo, mi sembrarono il segno di una esitazione della Chiesa, come di chi perde l’orientamento. Un’indecisione che per essere superata ha bisogno di intervento divino. Fu proprio Benedetto XVI nel suo viaggio a Fatima del 2010 a ritenere necessario un tale intervento del Cielo per vincere i gretti egoismi degli uomini di oggi:“Con la famiglia umana pronta a sacrificare i suoi legami più santi sull’altare di gretti egoismi di nazione, razza, ideologia, gruppo, individuo, è venuta dal Cielo la nostra Madre benedetta offrendosi per trapiantare nel cuore di quanti le si affidano l’Amore di Dio che arde nel suo”; e ha proiettare gli anni che stiamo vivendo nell’orizzonte delle profezie di Fatima: “Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa … Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità.”. Orizzonte che apparve ancora più concreto quando Papa Francesco, presentandosi al mondo nel giorno della sua elezione si qualificò come “Vescovo di Roma”: “Fratelli e sorelle, buonasera! Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma … ma siamo qui”. Espressione che a molti ha fatto pensare alla visione del cosiddetto “terzo segreto di Fatima”, dove si parla di “un Vescovo vestito di bianco”: “E vedemmo in una luce immensa che è Dio: un Vescovo vestito di Bianco … (che) attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso.”. Più che delle risposte, mi rendo conto che questi argomenti sono altre domande di difficile soddisfazione … Per dirla ancora col Manzoni: “ai posteri l’ardua sentenza”.
Marco Belladelli.
pubblicato su LA VOCE DI MANTOVA il 10/02/2017.
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