giovedì 20 ottobre 2016

Il Vangelo della salute del 23/10/2016

Merian Matthaeus the Elder, Il Fariseo e il pubblicano, incisione, 1625.      
XXX del tempo Ordinario “C”
Il pubblicano tornò a casa giustificato,
a differenza del fariseo
 Dal Vangelo secondo Luca  (18,9-14)
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo
pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore.
Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”. Parola del Signore.

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Con la parabola del fariseo e del pubblicano, oggi Gesù ci invita a riflettere sul pericolo della presunzione di esser giusti” da cui proviene anche “il disprezzo per gli altri”. Il contesto è ancora quello della parabola della vedova e del giudice disonesto. Siamo nella terza parte del viaggio verso Gerusalemme, il cui fine è sempre quello formativo. Una sezione nella quale si dà risalto soprattutto alla dimensione escatologica della fede cristiana. La vita del vero discepolo di Gesù deve radicarsi nella Speranza, la virtù che ci orienta verso le realtà future di cui possediamo la caparra, in attesa della loro piena realizzazione.
Un’ altra parabola propria di Luca. Anche le caratteristiche letterarie sono tipicamente sue, due situazioni diametralmente contrapposte, dal cui confronto emerge chiaro l’insegnamento: la presunzione davanti a Dio non paga. Sentirsi a posto davanti a Dio e superiori agli altri uomini sono atteggiamenti che non si addicono al cristiano. Al centro del confronto c’è ancora la preghiera.
Come per esempi negativi che abbiamo incontrato precedentemente in altre parabole, vedi il caso dell’amministratore disonesto e del giudice senza scrupoli, Gesù non vuole incoraggiarci a vivere come i pubblicani, il cui profilo di persone immorali e senza Dio è riassunto dal fariseo, quando si vanta della sua diversità rispetto a questi uomini che a suo dire sono “ladri, ingiusti, adulteri”. I pubblicani erano invisi e disprezzati da tutto il popolo. Frequentavano i Romani e spesso vivevano secondo i costumi dei pagani. Forti della loro autorità di potenza di occupazione, riscuotevano le tasse dai loro concittadini. Si trattava in genere di persone molto pragmatiche, senza scrupoli, facili alla corruzione, che guardavano al proprio interesse e religiosamente indifferenti. Insomma l’esatto contrario dei farisei, i quali invece avevano fatto della pratica religiosa e soprattutto della scrupolosa osservanza della legge mosaica una loro peculiarità.
L’esempio portato da Gesù è volutamente paradossale. Sorprende trovare in un pubblicano tanta umiltà e consapevolezza del proprio peccato, disposizioni spirituali che dovrebbero caratterizzare le persone religiose e praticanti come i farisei. Se perfino una persona indifferente, come il pubblicano, ha capito che ci si deve presentare davanti a Dio con il cuore umile e pentito: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”, a maggior ragione questo atteggiamento dovrebbe albergare nell’animo di coloro che ostentano vicinanza a Dio e la scrupolosa osservanza dei suoi comandamenti.
Gesù ci mette in guardia dal pericolo del fariseismo, che consiste nella pretesa di sentirsi a posto davanti a Dio: “O Dio, ti ringrazio … ”, fino a pensare di non aver bisogno di nessun aiuto da parte di Dio, di potersi salvare con le proprie opere: “il digiuno e il pagamento delle decime”, e nel disprezzare gli altri uomini “non sono come gli altri uomini …  non sono come questo pubblicano”. Sono le note caratteristiche di una eucaristia satanica, dice il giovane filosofo francese Fabrice Hadjadj.
L’umiltà e la consapevolezza della propria indegnità davanti a Dio sono gli atteggiamenti spirituali con cui ci si deve presentare al Signore e che ci meritano la grazia della salvezza divina: “tornò a casa sua giustificato”. Chi invece si presenta pieno di sé ne rimane escluso.  Preghiera e umiltà di cuore vanno dunque di pari passo. Una preghiera umile, insistita e costante, come quella della povera vedova della scorsa settimana, deve essere accompagnata da un cuore umile. E Dio sarà pronto a farci dono della sua misericordia,  perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.
Buona Domenica!
don Marco Belladelli.

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