giovedì 14 aprile 2016

Il Vangelo della salute del 17/04/2016

Il Buon Pastore, scultura indonesiana. Convento degli Apostoli di Dio, Calvi dell'Umbria (TR).
IV Domenica di Pasqua “C”
Alle mie pecore io dò la vita eterna.
 Dal Vangelo secondo Giovanni (10, 27-30)
 In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano
del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola». Parola del Signore.
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Dopo aver meditato i racconti delle apparizioni per confermarci nella fede del Signore risorto, nelle prossime tre Domeniche la liturgia ci propone la novità della Pasqua da una prospettiva diversa, quella della vita di comunione con il Signore.  
Il brano del Vangelo odierno è preso dal capitolo 10 di Giovanni, nel quale Gesù ricorre all’immagine del Buon Pastore e delle pecore per indicare il suo rapporto con i discepoli e viceversa. Siamo a Gerusalemme, nel tempio d’inverno durante la festa della dedicazione, e i Giudei chiedono in modo ironico e provocatorio a Gesù: “Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente” (Gv 10,24). Come per dire: dacci la prova provata della tua messianicità! Gesù risponde facendo una distinzione tra chi è con
lui e chi è contro di lui e indicando quali sono le caratteristiche dei veri discepoli.
La liturgia ci propone la parte conclusiva del discorso di Gesù. Ascoltiamo le sue parole: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”.  Gesù elenca gli atteggiamenti e le disposizioni proprie di coloro che sono con lui: ascolto, conoscenza e sequela. Sono tre modi diversi e complementari per entrare in comunione di vita con lui. L’esperienza di comunione si risolve nel dono da parte di Gesù della “vita eterna”. Tra lui e i discepoli viene così a stabilirsi una unione tanto forte che nessuno potrà mai distruggere, perché è di natura divina. Gesù infatti agisce non a titolo personale, ma nel nome del Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Come le pecore docili ascoltano, conoscono e seguono il Buon Pastore, così nella vita del discepolo il Signore viene ad assumere una centralità tanto importante, da non trovare paragone con nessuno e con niente di simile.
Con la risurrezione Gesù si rivela non soltanto come il Figlio unigenito del Padre, ma anche come il nuovo Adamo (cfr 1Cor 15,45), cioè il prototipo, il criterio e l’orizzonte della vita di ogni uomo e di tutta l’umanità. Nel Concilio Vaticano II, al n. 22 della costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et Spes, si dice: “Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.” Nella rivelazione del mistero di Amore che unisce Gesù a Dio Padre è pienamente svelato anche il mistero dell’uomo. Attraverso la comunione di vita noi accogliamo questo mistero per ciascuno di noi.
La risurrezione di Cristo, oltre che salvezza dal peccato e dalla morte, è anche l’ultimo e definitivo atto creativo di Dio, per mezzo del quale ci viene svelato che la vita umana non è semplicemente radicata nella dimensione spazio/temporale della storia, come sembra normale per tutti noi, ma in quella eterna e divina di Dio stesso. Ecco che cosa significa: “Io dò loro la vita eterna”.
Può succedere che noi ci sentiamo fortemente attratti da Cristo, ma nonostante tutto questo rapporto di comunione di vita non si realizzi mai, perché la nostra interiorità è pienamente occupata dal nostro “IO”. Magari lo invochiamo spesso,  ricorriamo a lui nel momento del bisogno, ma è altrettanto chiaro che non abbiamo niente in comune con lui. Una realtà, quella della comunione di vita con il Signore, fortemente contrastata a livello culturale e spirituale dall’individualismo imperante dei nostri giorni, per il quale siamo portati ad isolarci nella completa solitudine del nostro cuore e nella più totale estraneità al destino degli altri, chiunque essi siano. Il tutto mascherato dalla condivisione dei nobili ideali della laicità, della pace, dell’uguaglianza e dell’amicizia tra i popoli, uno stato mentale irenico e confusionale che va a rafforzare la pretesa di fare ciò che si vuole della propria vita, senza che nessuno possa permettersi di ostacolarci. Insomma tutto è buono e ciascuno è libero di fare ciò che vuole. Una condizione spirituale fortemente incompatibile con qualsiasi esperienza di comunione e gravemente frustrante, dal punto di vista religioso premessa ineluttabile del fariseismo.
L’ascolto, la conoscenza e la sequela corrispondono esattamente al pensare, al sentire ed all’agire come Cristo. Il discepolo è colui che percepisce questa presenza del Signore dentro di sé e corrispondendo ad essa sente pure, giorno per giorno, morire progressivamente il proprio IO, con tutte le sue esigenze ed implicazioni.
Oggi si celebra anche la 53° GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI. Il tema scelto quest’anno da Papa Francesco è: “La Chiesa, madre di vocazioni”. E’ del tutto superfluo sottolineare che è possibile mettere tutta la propria vita al servizio di Cristo e della Chiesa, soltanto se si è pienamente accolto dentro di sé il Signore risorto, come il più grande bene della nostra vita. Questa è la premessa per ogni vocazione.
Una buona occasione per pregare per tutti i nostri pastori, preti e Vescovi, religiosi e religiose, indistintamente.
Buona Domenica!
don Marco Belladelli.

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