XX Domenica del Tempo Ordinario, “B”
La
mia carne è vero cibo, il mio sangue è vera bevanda
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Parola del Signore.
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L’ultima
affermazione di Gesù: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se
uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne
per la vita del mondo” (6,51), già ascoltata domenica scorsa e
ripresa nel brano odierno, è la ragione per una nuova obiezione da parte dei
Giudei: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Dopo aver superato le altre difficoltà poste dai suoi interlocutori, quali la necessità della fede per comprendere il vero significato del segno del pane, il problema della sua origine divina e la necessità per ogni uomo di procurarsi un nutrimento spirituale, oltre a quello materiale per il corpo, ora il dubbio riguarda come sia possibile per Gesù farsi cibo di vita eterna per l’umanità.
Questo confronto tra lui e i Giudei ha avuto origine dal segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Coloro che erano presenti hanno “mangiato di quei pani” e si sono “saziati”, e poi lo hanno inseguito fino a Cafarnao.
Gesù non fa altro che ribadire in modo inequivocabile per tutti qual è il significato, il valore e l’effetto di questo mangiare e bere: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”. Per mezzo del gesto del mangiare e del bere si realizza una unione tra Gesù ed i discepoli, descritta come un “dimorare” l’uno nell’altro reciprocamente: il discepolo è totalmente assimilato a Cristo e il Cristo vive totalmente nella persona del discepolo, il “Christus totus”. Attraverso le parole di Gesù e il segno del pane ci viene rivelata una realtà ed una possibilità a noi del tutto sconosciuta ed inaccessibile, cioè il dono della vita di comunione con Dio per mezzo di Cristo: “Come … io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me”.
In Giovanni, nonostante i cinque capitoli dedicati all’ultima cena (capp. 13-17), non c’è il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, come nei tre sinottici e in Paolo stesso (cfr 1 Cor 11,23ss), dove Gesù indica chiaramente come ciò sia possibile attraverso il gesto sacramentale del pane spezzato e del calice del vino condiviso con tutti i convitati, in cui si perpetua la viva memoria del sacrificio della sua vita e segno della nuova ed eterna alleanza, che sostituisce quella antica. Senza anticipare a ciò che sarebbe successo durante l’ultima cena, Gesù fa apertamente riferimento al gesto del mangiare la sua carne e bere il suo sangue come momento di comunione di vita con Dio e di partecipazione alla salvezza realizzata con il suo sacrificio.
Siamo
al punto d’arrivo di tutto il discorso. E’ importante riflettere sia sulla
grandezza straordinaria del sacramento dell’Eucaristia, sia sulla realtà di
comunione che Gesù ci ha rivelato. La sostanza e l’assoluta novità
dell’esperienza cristiana è riassunta in questo “dimorare in me e io in lui”.
Il nostro credere non consiste quindi nel far nostra una particolare visione
del mondo, né tanto meno nell’assoggettarsi ad una specialissima dottrina
morale, oppure inseguire chissà quali illusorie promesse. Si tratta piuttosto
di acconsentire a questa unione, che si realizza soprattutto attraverso il
sacramento dell’Eucaristia, per mezzo del quale Gesù si unisce a noi e rende la
nostra vita “eterna”, non soltanto perché durevole, per sempre, ma
soprattutto perché partecipe della vita stessa di Dio.
Buona Domenica!
don
Marco Belladelli.
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