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J. F. Millet, Il Seminatore, 1850. |
XV
Domenica del Tempo Ordinario, “A”
Il seminatore uscì a seminare
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo
Parola del Signore.
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Nel 13° capitolo del suo vangelo Matteo ha
raccolto una serie di parabole per illustrare le caratteristiche del Regno dei
cieli, cioè di quel nuovo ordine delle cose che il Signore Gesù è venuto ad
inaugurare e ad instaurare. Si comincia con quella del Seminatore, una delle più famose. Nel nostro caso sarebbe meglio
intitolare “La storia del seme”.
Provo a dire in poche parole che cosa è una
parabola. E’ un genere letterario caratterizzato da un racconto che prende
spunto dall’esperienza comune per facilitare l’attenzione degli ascoltatori,
nella cui trama il narratore introduce elementi paradossali, se non addirittura
assurdi, inseguendo i quali si arriva al messaggio specifico che si vuole
comunicare. Nel nostro caso, per esempio, si comincia con l’immagine di un uomo
che semina, molto familiare in un ambiente agricolo, quale era quello
palestinese di duemila anni fa. Il paradosso abbastanza evidente sta nel fatto
che i tre quarti del lavoro di questo seminatore sono improduttivi, mentre la
quarta parte risulta straordinariamente feconda. Dal confronto tra il seme che
dà frutto e quello invece che non dà frutto ricaviamo il messaggio specifico
della parabola.
Come dice il profeta nella 1° lettura, la Parola
di Dio porta sempre frutto. La garanzia della sua fecondità giustifica un
impegno sempre più forte nell’evangelizzazione.
Nelle folle di Galilea Gesù ha davanti a sé
tutta l’umanità. Egli conosce i cuori di ciascuno e sa chi sono quelli che
credono e quelli che non credono. La differenza tra questi due gruppi sta
sempre nel modo con cui si accoglie la Parola di Dio. Questo è anche il fine della
parabola, far risaltare gli ostacoli che impediscono l’accoglienza feconda
della Parola.
Dopo aver congedato la folla, Gesù si ritrova
solo con i discepoli, che gli chiedono ragione dell’uso delle parabole. Ad essi
risponde, dicendo: “Parlo con parabole:
perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono”.
Che senso ha parlare per non essere compresi? Perché
rendersi incomprensibile di proposito? Gesù cita a sostegno della propria tesi un
passo del profeta Isaia (6,9-10), che in sostanza dice: “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. La gravità del
peccato di chi non ascolta e non accoglie nel suo cuore la Parola di Dio per
metterla in pratica consiste nel ritenere pregiudizialmente che Dio non parli,
non agisca e alla fine gli risulta anche indifferente il fatto che esista o non
esista.
Veniamo ora al significato della parabola,
spiegato da Gesù stesso. Come abbiamo già detto sopra, il seminatore causa due
situazioni contrapposte, quella del seme improduttivo e quella del seme
produttivo, rispettivamente articolate al loro interno in tre ulteriori
contingenze diverse. Nella spiegazione che segue viene esplicitato il
significato di ciascuna situazione. Il seme caduto sulla strada e mangiato
dagli uccelli, rappresenta l’opera del maligno il cui fine è sempre quello di
contrastare l’opera di Dio e separarci da Lui, fino a negarne l’esistenza e
cadere così schiavi dei suoi inganni. Un aspetto della vita spirituale da non
trascurare e che merita di essere approfondito. Il secondo caso riguarda il
seme caduto sul terreno sassoso, che sta ad indicare la difficoltà di accettare
il prezzo della fedeltà a Dio, alla sua Parola e alla sua volontà. Detto in
altri termini: la logica della Croce. Insomma chi è fedele al Vangelo in genere
non è ben visto, incontrerà sulla propria strada tanti ostacoli, dovrà
sopportare sofferenze e prepararsi ad affrontare vere e proprie ostilità.
Infine abbiamo il seme caduto tra le spine, che rappresenta coloro che sono
frenati da “la preoccupazione del mondo e
la seduzione della ricchezza”. Quante volte abbiamo sentito questa Parola:
“ Il mio regno non è di questo mondo; … siete nel mondo, ma non siete del mondo;
… va, vendi quello che hai e dallo ai poveri e poi vieni e seguimi”. E noi continuiamo
imperterriti a lasciarci attrarre e sedurre dalla logica del mondo: piacere,
ricchezza e potere.
A queste tre situazioni negative sono
contrapposte altre tre situazioni positive, in cui il seme “dà frutto e produce il cento, il sessanta,
il trenta per uno”.
Non tutti possiamo essere dei grandi
catalizzatori di folle, come lo sono stati Madre Teresa di Calcutta, Padre Pio
e Giovanni Paolo II, o come lo è oggi Papa Francesco. E’ sufficiente una fede
sincera e pronta ad accogliere la Parola di Dio con la pratica della vita, per
essere certi di un frutto abbondante. Non è possibile seguire il Signore Gesù
senza credere in lui. La parabola ci aiuta a capire la natura della nostra difficoltà,
a individuarla e ovviamente a rimuoverla.
Al solito: “Buona
Domenica!”, oggi unisco l’augurio di un “Buon esame di coscienza!” per
meglio disporci ad accogliere la Parola di Dio, perché produca anche in noi
frutti abbondanti.
don Marco Belladelli.
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