XII Domenica del Tempo Ordinario, “C”.
Tu sei il Cristo di Dio. Il Figlio dell'uomo deve molto soffrire.
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà». Parola del Signore.
----------------------------------------
Il brano di oggi è
tradizionalmente conosciuto come la
confessione di Cesarea di Filippo, per le indicazione di luogo che
troviamo nei racconti paralleli di Matteo e Marco. Luca invece parla soltanto di
un luogo solitario, cioè lontano
dalla folla e da altri fattori che non avrebbero favorito, il confronto, il
dialogo e il raccoglimento. Gesù vi si era ritirato infatti per “pregare”.
La preghiera contraddistingue i momenti più importanti della vita di Gesù, dal
battesimo al Giordano, alla scelta dei Dodici, alla trasfigurazione. Per mezzo della
preghiera egli vive costantemente in comunione con il Padre. Anche questo
passaggio rappresenta allora un momento altrettanto importante. La domanda
rivolta ai discepoli non è semplice curiosità auto referenziale, come si usa
fare molto spesso oggi quando si ricorre ai sondaggi per conoscere l’impatto di
un determinato evento sull’opinione
pubblica, ma, come comprendiamo da quanto segue, è la premessa per una più
completa manifestazione di Gesù al mondo.
La folla lo ritiene uno
dei tanti grandi profeti dell’Antico testamento, cioè uno che senza dubbio
parla in nome di Dio. Pietro risponde per tutti i discepoli e dice: “Il
Cristo di Dio”. Il titolo equivale all’ebraico Messia, cioè non uno dei tanti
profeti, ma l’Inviato
promesso da Dio e atteso da tutto il Popolo, da Abramo in poi. Per Gesù non si
tratta semplicemente di essere riconosciuto per ciò che egli effettivamente egli
è, ma di un esplicito primo atto di fede in lui. Un punto fermo su cui poggiare
la successiva rivelazione di sé, molto più ostica da accogliere, cioè il
mistero del servo sofferente, del quale tra l’altro comincia immediatamente a
parlare.
Sorprende l’ordine perentorio
di non parlare a nessuno di questo fatto. E’ il cosiddetto segreto
messianico, molto più frequente in Marco. Soltanto la fede ti fa conoscere
realmente Gesù. Tutte le altre modalità di approcciarsi a lui non permettono di
accogliere il mistero che egli rappresenta, cioè il Dio fatto uomo, e neppure
la realtà del regno che egli è venuto ad annunciare ed ad inaugurare.
Dopo la professione di
fede di Pietro, la vera novità introdotta da Gesù è appunto l’annuncio della
passione, morte e risurrezione. E’ il primo di una serie di tre che scandiscono
il progressivo avvicinamento a Gerusalemme, dove tutto si compirà. Se ne parla sempre
come di un tutt’uno, preceduti dal quel “deve” che indica la volontà e
opera di Dio Padre a cui Gesù ha aderito liberamente e totalmente.
D’ora in poi le
condizioni per poter seguire Gesù esigono di rinnegare se stessi, prendere
la propria croce e perdere la propria vita. Sono atteggiamenti che rendono
i discepoli simili al Maestro, cioè capaci di offrire se stessi a Dio. Accompagnando
Gesù nel suo viaggio verso Gerusalemme, il Maestro ci spiegherà meglio il loro
valore e il loro significato. Vivendo accanto a lui e confrontandoci con le diverse
situazioni di vita in cui ci verremo a trovare insieme con lui e con i vari
contenuti che da esse emergeranno, Gesù vuole
far maturare in noi queste disposizioni d’animo.
Un giorno, quando ancora
ero in ospedale, durante la visita ai malati un paziente mi confidò quanto
fosse per lui consolante e di conforto il pensiero della risurrezione,
soprattutto nel tempo della malattia, quando si deve inevitabilmente fare i
conti con l’esperienza e il mistero del nostro disfacimento. Mi diceva: “Molti credono che sia un ritornare a questa
condizione terrena, invece ho capito che è qualcosa di completamente nuovo, per
questo per noi difficile da immaginare, ma nello stesso tempo molto esaltante”.
Un esempio di cosa vuol dire rinnegare se stessi, prendere la croce e perdere
la propria vita.
Buona Domenica!
don
Marco Belladelli.
Nessun commento:
Posta un commento