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El Greco, Santi Pietro e Paolo, 1595-1600 - Barcellona. |
Solennità dei Santi Pietro e Paolo
Tu sei Pietro, a
te darò le chiavi del regno dei cieli.
Dal Vangelo secondo
Matteo (16, 13-19).
In quel tempo, essendo giunto Gesù nella
regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che
sia il Figlio dell'uomo?».
Risposero: «Alcuni Giovanni il
Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del
Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Parola del Signore.-------------------------------------------------------
Oggi tutta la Chiesa venera i Santi Apostoli Pietro e Paolo, il
pescatore di Galilea, divenuto dopo l’incontro con Gesù un pescatore di
uomini, e il fariseo ortodosso, persecutore della Chiesa, diventato per
chiamata diretta di Gesù l'Apostolo delle genti. La loro storia personale,
tanto diversa l'una dall'altra, si fonde nell’esperienza di fede e di
amore al Signore e nel comune ministero apostolico loro affidato dal Signore stesso,
fino ad imitarlo nel sacrificio della vita per l'edificazione dell'unica
Chiesa. “Sono questi i santi apostoli che nella vita terrena hanno
fecondato con il loro sangue la Chiesa: hanno bevuto il calice del Signore, e
sono diventati gli amici di Dio.”, con queste parole, l’antifona d’ingresso
ci ricorda che la festa dei santi Apostoli
Pietro e Paolo è insieme un atto di gratitudine alla memoria di due grandi
testimoni del Signore Gesù e una solenne confessione di fede a favore della
Chiesa, secondo le note caratteristiche che tra poco tutti insieme professeremo
nel ‘Credo’: “una, santa, cattolica e apostolica”.
La prima e la seconda lettura evidenziano la particolarità dei cammini
dei due Apostoli, risultati alla fine convergenti per il bene della Chiesa. Nella
prima lettura la liberazione prodigiosa di San Pietro conclude la narrazione
delle vicende riguardanti il Principe degli Apostoli nel libro degli Atti per
introdurre quelle di Paolo, nel segno di una continuità della missione
apostolica tra coloro che sono unanimemente ritenuti le colonne della Chiesa
delle origini e di sempre. Il racconto si apre con la persecuzione di Erode
contro la Comunità cristiana di Gerusalemme, dopo aver messo a morte San
Giacomo, il maggiore, per conquistarsi il favore dei Giudei, soprattutto dei
Sommi Sacerdoti e del Sinedrio, il re giudeo fa arrestare anche Pietro pensando
per lui la stessa sorte subito dopo le celebrazioni pasquali. Ma come recita il
‘Magnificat’, il Dio Salvatore, che “ … ha disperso i superbi nei
pensieri del loro cuore …” (Lc 1,51), vanifica i piani di Erode per
manifestare in modo sorprendente a Pietro e a tutti noi, la protezione divina
per colui che è a capo della Chiesa. Come abbiamo già accennato, la liberazione
prodigiosa avviene durante la settimana di Pasqua, per rafforzare ancor di più
il valore della sua celebrazione come evento non semplicemente evocativo di
realtà passate, ma che attualizza e perpetua nel tempo l’intervento salvifico
di Dio per il suo popolo. E per dare risalto a questa manifestazione della
potenza divina del tutto imprevedibile, Luca descrive l’accaduto con una
insolita abbondanza di particolari. La condizione di Pietro è quella di un
condannato a morte senza via di scampo e con le ore contate. È incatenato e
custodito a vista da quattro guardie: due sono in catene insieme con lui e due
sono posizionate davanti la porta della cella. Per l’esecuzione, fissata
immediatamente dopo la Pasqua, è soltanto questione di tempo, intanto Pietro è
in una condizione di detenzione da cui era umanamente impossibile pensare di
sfuggire e che rende ancora più straordinaria la liberazione avvenuta per
l’intervento di un Angelo, tanto che il primo ad esserne stupito è lo stesso
Pietro, il quale pensava che quanto stava vivendo non fosse reale, ma si
trattasse di una visione. Soltanto quando si ritrovò libero, sulla strada dove
l’Angelo lo aveva condotto, si rese conto di quanto era avvenuto. Sullo sfondo
dell’intervento celeste c’è la Chiesa raccolta in fiduciosa preghiera per
invocare da Dio la liberazione di Pietro, consapevole di che cosa avrebbe
significato in quel preciso momento l’essere privata della presenza e della
guida del Principe degli Apostoli, a cui il Signore Gesù l’aveva affidata dopo
la sua risurrezione, quando nell’apparizione sul lago di Tiberiade gli aveva
detto: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro? … Pasci i miei
agnelli.” (Gv 21,15). Un chiaro segno per tutti, soprattutto per noi, di
come la Chiesa debba essere unita al successore di Pietro, nella sicura
speranza che il Signore non farà mai mancare il suo aiuto contro coloro che
oggi, come ieri, la perseguitano e operano per la sua divisione.
La seconda lettura ci propone quello che è considerato il testamento
spirituale di san Paolo, nel quale l’apostolo ci apre il suo cuore per farci
conoscere i suoi sentimenti più profondi, originati dall’esperienza più
importante di tutta la sua vita, l’incontro e il rapporto con il Signore Gesù,
nelle cui mani ha posto tutta la sua vita. Anche lui, come san Pietro, si trova
in prigione, nella piena consapevolezza di essere prossimo alla fine della
propria vita. Un passaggio che egli vive come una “libagione”, cioè
un’offerta sacrificale a Dio. Con espressioni molto incisive, diventate
proverbiali nel linguaggio comune: “Ho combattuto la buona battaglia, ho
terminato la corsa, ho conservato la fede” (2Tm 4,7), egli rappresenta la
sua vita come una battaglia e una corsa il cui traguardo è il mantenimento
della fede. Ora infatti il suo cuore è totalmente rivolto al premio che
l’attende, simboleggiato nella “corona di giustizia che il Signore, il
giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno” (v.8), in una formidabile
tensione escatologica verso quelle realtà divine ed eterne che
caratterizzeranno il nostro definitivo incontro con il Signore Gesù dopo la
morte e il compimento della nostra vita. Una tensione verso la Speranza che non
delude (cfr. Rm 5,5), virtù nei nostri giorni molto indebolita, per l’esagerato
individualismo e una sproporzionata concentrazione sulla dimensione
psico-fisica e le realtà terrene della nostra vita. Nella parte finale del suo
‘testamento’, Paolo torna su quella che è stata la missione fondamentale
della sua vita, l’annuncio del Vangelo a tutte le genti, rendendo testimonianza
al Signore per la sua vicinanza e per la forza ricevuta, senza le quali non
sarebbe stato possibile portarla a compimento. L’ultimo pensiero è ancora
rivolto al Cielo, a quella libertà e a quella salvezza che egli attende
soltanto dal Signore, a gloria di Dio per i secoli eterni.
Come abbiamo detto, due percorsi molto diversi quelli di Pietro e di
Paolo, il pescatore di Cafarnao che dal momento della sua chiamata sulle rive
del mare di Galilea fino alla fine della sua vita deve continuamente fare i
conti con il sorprendente dispiegarsi dalla potenza divina (cfr. Lc 1,51) con
cui il Signore ha agito in suo favore e per l’edificazione del regno di Dio
sulla terra; il fariseo osservante che invece deve recedere da quelli che
riteneva gli irrinunciabili punti fermi spirituali e morali della più solida
tradizione giudaica nella quale era cresciuto ed era stato formato, per
abbandonarsi completamente al volere e al servizio del Signore, sostenuto dalla
potenza dello Spirito Santo in mezzo ad una serie infinita di prove e di
sofferenze (cfr. At 20,18-24), fino al martirio, ad imitazione del Signore
Gesù.
Alla fine, come recita l’antifona d’ingresso, entrambi hanno fecondato
con il loro sangue la Chiesa, “per renderla santa, purificandola con il
lavacro dell'acqua mediante la parola, e per presentare la Chiesa a Cristo
tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata”
(Ef 5,26-27).
Nel vangelo Gesù, riconosciuto da Pietro come il Messia e il Figlio del
Dio vivente, sceglie proprio quest’ultimo come roccia su cui edificare la sua
Chiesa, affidandogli la missione di sostenere i fratelli: “io ho pregato per
te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i
tuoi fratelli” (Lc 22,32) e di unire tutti i credenti nell’unica fede “quali
pietre vive costruiti anche voi come edificio spirituale” (1Pt 2,5).
L’unità consiste nel credere a ciò che ha creduto Pietro e non può
assolutamente prescindere dalla comunione di fede con lui, perché come abbiamo
visto nella prima lettura, Dio è con lui.
Come la prima Chiesa di Gerusalemme anche noi oggi siamo qui raccolti in
preghiera per Pietro, nella persona del suo successore Leone XIV, perché con la
docilità del gregge possa continuare a guidare la Chiesa nell’unità dell’unica
fede.
don
Marco Belladelli.
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