venerdì 27 giugno 2025

Il Vangelo della salute del 29/06/2025

El Greco, Santi Pietro e Paolo, 1595-1600 - Barcellona.

Solennità dei Santi Pietro e Paolo

Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli.

Dal Vangelo secondo Matteo (16, 13-19).  

 In quel tempo, essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». 

Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 

Disse loro: «Voi chi dite che io sia?».  Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del

Dio vivente».  E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli.  E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».  Parola del Signore.

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Oggi tutta la Chiesa venera i Santi Apostoli Pietro e Paolo, il pescatore di Galilea, divenuto dopo l’incontro con Gesù un pescatore di uomini, e il fariseo ortodosso, persecutore della Chiesa, diventato per chiamata diretta di Gesù l'Apostolo delle genti. La loro storia personale, tanto diversa l'una dall'altra, si fonde nell’esperienza di fede e di amore al Signore e nel comune ministero apostolico loro affidato dal Signore stesso, fino ad imitarlo nel sacrificio della vita per l'edificazione dell'unica Chiesa. Sono questi i santi apostoli che nella vita terrena hanno fecondato con il loro sangue la Chiesa: hanno bevuto il calice del Signore, e sono diventati gli amici di Dio.”, con queste parole, l’antifona d’ingresso ci ricorda che la festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo è insieme un atto di gratitudine alla memoria di due grandi testimoni del Signore Gesù e una solenne confessione di fede a favore della Chiesa, secondo le note caratteristiche che tra poco tutti insieme professeremo nel ‘Credo’: “una, santa, cattolica e apostolica.

La prima e la seconda lettura evidenziano la particolarità dei cammini dei due Apostoli, risultati alla fine convergenti per il bene della Chiesa. Nella prima lettura la liberazione prodigiosa di San Pietro conclude la narrazione delle vicende riguardanti il Principe degli Apostoli nel libro degli Atti per introdurre quelle di Paolo, nel segno di una continuità della missione apostolica tra coloro che sono unanimemente ritenuti le colonne della Chiesa delle origini e di sempre. Il racconto si apre con la persecuzione di Erode contro la Comunità cristiana di Gerusalemme, dopo aver messo a morte San Giacomo, il maggiore, per conquistarsi il favore dei Giudei, soprattutto dei Sommi Sacerdoti e del Sinedrio, il re giudeo fa arrestare anche Pietro pensando per lui la stessa sorte subito dopo le celebrazioni pasquali. Ma come recita il ‘Magnificat’, il Dio Salvatore, che “ … ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore …” (Lc 1,51), vanifica i piani di Erode per manifestare in modo sorprendente a Pietro e a tutti noi, la protezione divina per colui che è a capo della Chiesa. Come abbiamo già accennato, la liberazione prodigiosa avviene durante la settimana di Pasqua, per rafforzare ancor di più il valore della sua celebrazione come evento non semplicemente evocativo di realtà passate, ma che attualizza e perpetua nel tempo l’intervento salvifico di Dio per il suo popolo. E per dare risalto a questa manifestazione della potenza divina del tutto imprevedibile, Luca descrive l’accaduto con una insolita abbondanza di particolari. La condizione di Pietro è quella di un condannato a morte senza via di scampo e con le ore contate. È incatenato e custodito a vista da quattro guardie: due sono in catene insieme con lui e due sono posizionate davanti la porta della cella. Per l’esecuzione, fissata immediatamente dopo la Pasqua, è soltanto questione di tempo, intanto Pietro è in una condizione di detenzione da cui era umanamente impossibile pensare di sfuggire e che rende ancora più straordinaria la liberazione avvenuta per l’intervento di un Angelo, tanto che il primo ad esserne stupito è lo stesso Pietro, il quale pensava che quanto stava vivendo non fosse reale, ma si trattasse di una visione. Soltanto quando si ritrovò libero, sulla strada dove l’Angelo lo aveva condotto, si rese conto di quanto era avvenuto. Sullo sfondo dell’intervento celeste c’è la Chiesa raccolta in fiduciosa preghiera per invocare da Dio la liberazione di Pietro, consapevole di che cosa avrebbe significato in quel preciso momento l’essere privata della presenza e della guida del Principe degli Apostoli, a cui il Signore Gesù l’aveva affidata dopo la sua risurrezione, quando nell’apparizione sul lago di Tiberiade gli aveva detto: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro? … Pasci i miei agnelli.” (Gv 21,15). Un chiaro segno per tutti, soprattutto per noi, di come la Chiesa debba essere unita al successore di Pietro, nella sicura speranza che il Signore non farà mai mancare il suo aiuto contro coloro che oggi, come ieri, la perseguitano e operano per la sua divisione.

La seconda lettura ci propone quello che è considerato il testamento spirituale di san Paolo, nel quale l’apostolo ci apre il suo cuore per farci conoscere i suoi sentimenti più profondi, originati dall’esperienza più importante di tutta la sua vita, l’incontro e il rapporto con il Signore Gesù, nelle cui mani ha posto tutta la sua vita. Anche lui, come san Pietro, si trova in prigione, nella piena consapevolezza di essere prossimo alla fine della propria vita. Un passaggio che egli vive come una “libagione”, cioè un’offerta sacrificale a Dio. Con espressioni molto incisive, diventate proverbiali nel linguaggio comune: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (2Tm 4,7), egli rappresenta la sua vita come una battaglia e una corsa il cui traguardo è il mantenimento della fede. Ora infatti il suo cuore è totalmente rivolto al premio che l’attende, simboleggiato nella “corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno” (v.8), in una formidabile tensione escatologica verso quelle realtà divine ed eterne che caratterizzeranno il nostro definitivo incontro con il Signore Gesù dopo la morte e il compimento della nostra vita. Una tensione verso la Speranza che non delude (cfr. Rm 5,5), virtù nei nostri giorni molto indebolita, per l’esagerato individualismo e una sproporzionata concentrazione sulla dimensione psico-fisica e le realtà terrene della nostra vita. Nella parte finale del suo ‘testamento’, Paolo torna su quella che è stata la missione fondamentale della sua vita, l’annuncio del Vangelo a tutte le genti, rendendo testimonianza al Signore per la sua vicinanza e per la forza ricevuta, senza le quali non sarebbe stato possibile portarla a compimento. L’ultimo pensiero è ancora rivolto al Cielo, a quella libertà e a quella salvezza che egli attende soltanto dal Signore, a gloria di Dio per i secoli eterni.

Come abbiamo detto, due percorsi molto diversi quelli di Pietro e di Paolo, il pescatore di Cafarnao che dal momento della sua chiamata sulle rive del mare di Galilea fino alla fine della sua vita deve continuamente fare i conti con il sorprendente dispiegarsi dalla potenza divina (cfr. Lc 1,51) con cui il Signore ha agito in suo favore e per l’edificazione del regno di Dio sulla terra; il fariseo osservante che invece deve recedere da quelli che riteneva gli irrinunciabili punti fermi spirituali e morali della più solida tradizione giudaica nella quale era cresciuto ed era stato formato, per abbandonarsi completamente al volere e al servizio del Signore, sostenuto dalla potenza dello Spirito Santo in mezzo ad una serie infinita di prove e di sofferenze (cfr. At 20,18-24), fino al martirio, ad imitazione del Signore Gesù.

Alla fine, come recita l’antifona d’ingresso, entrambi hanno fecondato con il loro sangue la Chiesa, “per renderla santa, purificandola con il lavacro dell'acqua mediante la parola, e per presentare la Chiesa a Cristo tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5,26-27).

Nel vangelo Gesù, riconosciuto da Pietro come il Messia e il Figlio del Dio vivente, sceglie proprio quest’ultimo come roccia su cui edificare la sua Chiesa, affidandogli la missione di sostenere i fratelli: “io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32) e di unire tutti i credenti nell’unica fede “quali pietre vive costruiti anche voi come edificio spirituale” (1Pt 2,5). L’unità consiste nel credere a ciò che ha creduto Pietro e non può assolutamente prescindere dalla comunione di fede con lui, perché come abbiamo visto nella prima lettura, Dio è con lui.

Come la prima Chiesa di Gerusalemme anche noi oggi siamo qui raccolti in preghiera per Pietro, nella persona del suo successore Leone XIV, perché con la docilità del gregge possa continuare a guidare la Chiesa nell’unità dell’unica fede.

don Marco Belladelli.

 


 

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