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Duccio da Boninsegna, Ultima cena, 1308-11, Siena. |
V Domenica di Pasqua “C”
Vi dò un comandamento nuovo:
che vi amiate gli uni agli altri.
Dal Vangelo secondo Giovanni (13, 31-33a. 34-35)
Quando Giuda fu uscito ,
Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato
glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo
glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi
amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni
gli altri.
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Giovanni annota in quale
preciso momento Gesù disse le parole che oggi ascoltiamo nel Vangelo: “Quando
Giuda fu uscito ...”. Il contesto è quello dell’ultima cena, il
capitolo 13° è iniziato con la lavanda dei piedi e continua con Gesù che spiega agli Apostoli il significato di
quel suo gesto. Fallito anche l’estremo tentativo di far recedere Giuda dai
suoi propositi, Gesù rivela la presenza di un traditore tra di loro, il quale
subito abbandona il cenacolo. Nonostante lo sgomento provocato dalla
rivelazione del traditore, gli Apostoli non capiscono ancora fino in fondo che
cosa stia accadendo. Sono due momenti paradossalmente opposti, tenuti insieme
dal “farsi servo” di Gesù, cioè la
decisione di affrontare la passione, che avrà il suo culmine nella morte di
croce, come ha anticipato Giovanni nell’introduzione del capitolo: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li
amò sino alla fine” (Gv 13,1).
La gloria di cui parla
Gesù all’inizio del nostro brano si riferisce al mistero della sofferenza della
passione e della morte in croce che lo attendono, mai tanto certe dopo il
tradimento di Giuda, unite al trionfo glorioso della risurrezione. Il gesto del
traditore non toglie nulla alla libertà di Gesù di offrire tutto se stesso in
sacrificio, per compiere la volontà del Padre. La passione, morte e
risurrezione sono la conseguenza della sua più totale obbedienza, per la quale “anche
Dio è stato glorificato in lui”. Il processo di glorificazione in cui Gesù è coinvolto segna un
distacco dai discepoli, che viene colmato dalla consegna del comandamento
nuovo: “Come io vi ho amato, così
amatevi anche voi gli uni gli altri”. Il sacrificio della croce è reso
possibile dall’amore di Gesù per il Padre, un bene che viene riversato in
massima misura anche su di noi per diventare la nostra giustificazione dal
peccato ed insieme la caratteristica profonda dell’amore fraterno che distingue
la vita dei discepoli che formeranno la nuova comunità escatologica, nata dal
fianco squarciato di Gesù sulla croce.
Il comandamento nuovo indicato da Gesù non va inteso come un semplice principio
a cui ispirare il proprio agire, né tantomeno come un precetto morale da
mettere in pratica e nemmeno come l’orizzonte della propria auto realizzazione
psico-sociale. Si tratta di una “via” da percorrere insieme a Gesù, fino alla
consumazione totale di noi stessi e che conduce alla salvezza di tutta la
nostra persona, in tutte le sue dimensioni. Il “Come io ho amato voi” prima di essere un
termine di paragone con cui confrontarsi, di fronte al quale ci scopriremo
inevitabilmente sempre miseramente mancanti, è l’esperienza della viva e vera
presenza di Gesù accanto a noi, che ha il suo vertice nella comunione
eucaristica. E’ l’accoglienza del suo amore nella nostra vita che ci rigenera e
ci rende capaci di amare allo stesso modo. Quello che Gesù chiama il comandamento nuovo è l’Amore che ha vinto il mondo (cfr.
Gv 16,33) e che si diffonde in modo contagioso di persona in persona fin quando
Dio sarà tutto in tutti (cfr. 1Cor 15,28). Ad ostacolarlo c’è lo spirito della
mondanità, identificabile in tutto ciò che si contrappone all’autentico spirito
evangelico. Un conflitto già presente nei primi tempi di vita della Chiesa, di
cui troviamo traccia nella 1° lettura quando Paolo e Barnaba, per confermare
nella fede le nuove Comunità cristiane da loro fondate in Asia minore, ripetono
con insistenza: “perché dobbiamo entrare nel regno di Dio
attraverso molte tribolazioni” (cfr. Atti 14,22).
Non meravigliamoci dunque
di quello che oggi c’è nel mondo, a cominciare dall’assurda guerra tra Russia e
Ucraina, perché tutto il male che ci circonda, violenza, corruzione,
ingiustizia, menzogna e l’oceano infinito di egoismo, che ha “come misura solo il proprio ‘io’ e le sue
voglie” (Ratzinger), non fa altro che confermare del bisogno sempre più
necessario del vero “Amore” del comandamento nuovo: “Da questo tutti sapranno che
siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35), carta
d’identità del cristiano. Il nuovo Testamento non conosce altro elemento più
fondamentale per individuare la presenza della Chiesa, se non quello dell’amore
reciproco e misericordioso: “tutto quello che avete fatto a uno solo
di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25,40). Non ci
sono riti, non ci sono leggi, non ci sono formule di professione di fede o
altre iniziative che possano sostituirsi all’amore fraterno o supplire alla sua
mancanza.
Buona Domenica!
don
Marco Belladelli.
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