Alle mie pecore io dò la vita eterna.
Dal Vangelo secondo Giovanni (10,
27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore
ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà
dalla mia mano.
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I racconti
delle apparizioni, che la liturgia ci ha proposto fino a Domenica scorsa, avevano
lo scopo di confermare la nostra fede nella realtà del Signore risorto. Nelle
prossime Domeniche siamo invece invitati a riflettere sulla novità del nostro
rapporto con Dio, conseguenza fondamentale della Pasqua. Se Cristo è vivo, lo è
per entrare in rapporto con ogni uomo, di ogni tempo, in ogni parte della
terra, in qualsiasi momento della sua vita: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Cominciamo la riflessione dai pochi versetti
del brano evangelico di oggi, tratto dal capitolo 10 di Giovanni,
caratterizzato dalla parabola del Buon Pastore che, diversamente dai mercenari, si prende cura delle pecore
fino al sacrificio della sua vita. Un immagine che evoca la passione, morte e
risurrezione del Signore Gesù, evento fondamentale per la salvezza degli uomini,
da quale deriva anche il nuovo e particolare rapporto dei discepoli con il Figlio
di Dio e con il Padre.
Siamo a Gerusalemme,
d’inverno, nel tempio durante la festa della dedicazione (Hanukkà). Dopo la guarigione del cieco nato, i Giudei
chiedono in modo ironico e provocatorio a Gesù: “Fino a
quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi
apertamente.”
(Gv 10,24), la stessa domanda che gli rivolgerà il Sommo Sacerdote durante il
processo (cfr. Gv 18,19). Gesù risponde, evidenziando la loro pregiudiziale
chiusura verso di lui: “voi non credete perché non fate parte
delle mie pecore”
(v.26). Soltanto i veri discepoli possono capire chi è il Messia e affidarsi a
lui e Gesù elenca di seguito le disposizioni che caratterizzano il suo rapporto
con i discepoli: ascolto, conoscenza reciproca e sequela. Sono tre
azioni che rivelano un atteggiamento di disponibilità ad entrare in comunione con lui, un rapporto che si risolve
nel dono della “vita eterna”. In questo modo tra Gesù e i discepoli viene a
stabilirsi una unione tanto forte, che nessuno potrà mai distruggere, perché di
natura divina. L’assoluta indissolubilità di questo rapporto è conseguenza
della sua origine, in quanto derivazione del rapporto di Gesù con il Padre, l’unione
di Gesù con le pecore-discepoli ha origine dalla comunione del Padre con il
Figlio: “Io e il Padre siamo una cosa sola”, una unità di volontà e di
azione che poggia sull’identità di natura: “In principio era il Verbo, e il Verbo era
presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv 1,1). Come le pecore docili ascoltano,
conoscono e seguono il Buon Pastore, così il vero discepolo accoglie Gesù nella
sua vita, fino ad assumere una centralità esistenziale, non paragonabile a
nessun altro rapporto interpersonale. Gesù risorto si rivela come il nuovo Adamo (cfr. 1Cor 15,45), cioè il modello
esemplare, il criterio e l’orizzonte di vita di ogni uomo e di tutta l’umanità.
Al n. 22 della, Gaudium et Spes, la Costituzione
pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo del Concilio Vaticano II, si dice: “Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e
del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua
altissima vocazione”. Gesù ci rivela
il mistero di Dio-Amore e insieme ci svela pienamente anche il mistero
dell’uomo, con particolare riferimento alla potenza di amore di cui ogni uomo e
donna è capace, quando vive in comunione con Gesù: “amatevi gli uni gli altri come io ho
amato voi”
(Gv 15,12), e alla dimensione divina ed eterna della vita umana, come afferma
quando dice: “Io dò loro la vita eterna”, oltre quindi l’orizzonte spazio/temporale
della storia, di cui possiamo godere fin da ora attraverso la grazia della “speranza che non delude” (Rm 5,5).
Quando il rapporto con Cristo non è al centro della nostra vita, inevitabilmente
il suo posto viene preso dal nostro ‘Io’,
causa della grave patologia spirituale dell’individualismo egocentrico, radice
di molta altre patologie che si riassumano nella incapacità di amare, di
abbandonarsi nel dono di se stessi, spesso mascherata dalle emozioni e passioni
affettive, un egoismo confuso con l’amore. L’ascolto, la conoscenza e la
sequela orientano al pensare, al sentire ed all’agire come Cristo, il discepolo
è colui che vive in sé questo rapporto con il Signore e vi corrisponde fino a
rinnegare il proprio ‘Io’, con tutte le implicazioni.
Oggi si
celebra anche la 62° GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI. Nel suo
Messaggio, dal titolo: “Pellegrini di
speranza: il dono della vita”, Papa Francesco conclude dicendo: “la
Chiesa è viva e feconda quando genera nuove vocazioni. E il mondo cerca, spesso
inconsapevolmente, testimoni di speranza, che annuncino con la loro vita che
seguire Cristo è fonte di gioia. Non stanchiamoci dunque di chiedere al Signore
nuovi operai per la sua messe, certi che Lui continua a chiamare con amore.
Cari giovani, affido la vostra sequela del Signore all’intercessione di Maria,
Madre della Chiesa e delle vocazioni. Camminate sempre come pellegrini di
speranza sulla via del Vangelo!”. Nonostante tutto, anche oggi è possibile
consacrarsi totalmente al Signore per servire il Vangelo e la Chiesa, accogliendo
pienamente dentro di sé la parola di Dio come il dono di una grande grazia,
sull’esempio di Maria. Preghiamo per tutti i nostri pastori, Preti, Vescovi,
Papa, per tutti i religiosi e le religiose e per le nuove vocazioni, perché il
Signore mandi Operai per la sua messe (cfr. Lc 10,2).
don Marco Belladelli.
Grazie Don Marco
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