sabato 18 novembre 2023

Il Vangelo della salute del 19/11/2023

Giotto, Giudizio universale (particolare) 1306, Cappella degli Scrovegni - Padova.

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, “A”.

GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Sei stato fedele nel poco: prendi parte alla gioia del tuo padrone.

DAL VANGELO SECONDO MATTEO (25,14-30)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.

Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”». 

Parola del Signore.

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E’ bene ricordare che siamo prossimi alla fine dell’anno liturgico e la Chiesa ci invita a riflettere sulle realtà ultime e cioè sulla fine della nostra esistenza e su ciò che ci attende dopo la vita terrena, tema presente nel Catechismo della Chiesa Cattolica con il titolo di “novissimi” e articolato in quattro contenuti: morte e giudizio, inferno e paradiso. Riguardo poi al testo evangelico, va pure ricordato che la parabola dei talenti fa parte del discorso escatologico, ai capitoli 24 e 25 di Matteo, nel quale l’evangelista ci parla della parusia, e cioè del ritorno del Signore, la sua seconda venuta alla fine dei tempi.

Come nella parabola delle vergini, pure qui c’è qualcuno che ritarda, è colui che all’inizio è chiamato genericamente “un uomo” e al ritorno dal viaggio “il padrone”, colui con cui alla fine siamo chiamati alla resa dei conti. Prima di partire ha distribuito i suoi beni ai servi in parti differenti, a chi cinque, a chi tre, a chi un solo talento, secondo il criterio della capacità di ciascuno. Il talento era una unità di misura del peso che equivaleva a 58,9  kg, divenuto nel corso del tempo una moneta, il cui valore dipendeva dal metallo a cui ci si riferiva: oro, argento, bronzo o ferro, parametri per una valutazione odierna della sua equivalenza. Una bella somma anche per colui a cui è toccato meno, tenuto conto che si tratta di una elargizione gratuita e di cui ciascuno è libero di disporre come meglio crede. La lontananza del padrone sta infatti ad indicare che Dio non ci sta col fiato sul collo, ma che l’uomo ha una sua libertà d’azione, soprattutto per quel che riguarda la sua realizzazione nelle realtà temporali.

Quando meno te l’aspetti, il padrone torna e chiede conto ai servi di come hanno utilizzato i beni ricevuti, per renderli partecipi di gioie ancora più grandi, quale la vita eterna. I primi due hanno raddoppiato il capitale. “Bene, servo buono e fedele, - dice loro il padrone - sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Il terzo invece, quello con un solo talento, dopo aver accusato il padrone di essere una persona dura, avida e di incutere paura nei servi, riferisce candidamente di avere sotterrato il talento ricevuto e di essere pronto a restituirglielo, senza fargli torto.

La reazione del padrone è indignata: “Servo malvagio e pigro … ” e la condanna ancor più terribile: “il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Fuori dalla metafora, il padrone è Gesù, il Dio fatto uomo e Signore dell’universo, e noi siamo i servi. I talenti sono la vita e i doni di grazia che tutti abbiamo ricevuto, un capitale da sviluppare e far fruttare nell’orizzonte dei significati e dei valori del regno di Dio, e non da lasciare inutilizzato o da sperperare capricciosamente a proprio piacere. La parabola evoca chiaramente la realtà del giudizio ultimo, a cui tutti saremo sottoposti dopo la nostra morte, quando apparirà il vero valore della nostra vita terrena relativamente allo sviluppo e alla crescita del regno di Dio: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”; oppure se per varie ragioni ci siamo sottratti a questo progetto di vita divino: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Non ci sarà spazio per giustificazioni, intercessioni o mediazioni varie, perché sarà chiaro a tutti quello che è stato o non è stato, senza alcuna ambiguità. Infatti nel momento della morte ciascuno di noi acquisisce una consapevolezza cristallina del bene e del male di cui è stato responsabile, a cui seguirà l’incontro con Gesù Signore che fraternamente ci chiederà: “Parlami di te, Sorella/Fratello”. Come ha detto Papa Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi : “Il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana mediante una trasformazione certamente dolorosa «come attraverso il fuoco». È, tuttavia, un dolore beato, in cui il potere santo del suo amore ci penetra come fiamma, consentendoci alla fine di essere totalmente noi stessi e con ciò totalmente di Dio. Così si rende evidente anche la compenetrazione di giustizia e grazia: il nostro modo di vivere non è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia eternamente, se almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e verso l'amore.” (n.47).

Nella parabola sono presenti altri temi, come per esempio quello della condanna eterna, insieme a quello della libertà dell’uomo. E’ la sesta volta che Matteo parla delle tenebre, una solitudine a cui non c’è rimedio e una sofferenza inconsolabile, come lascia intendere lo “stridore di denti”, proprio di chi è dimenticato da Dio. Nel servo inutile infatti riconosciamo coloro che non fanno nulla per il regno dei cieli, hanno un’idea sbagliata di Dio, tanto da averne paura o accusarlo di essere ingiusto.

A proposito poi della libertà, Martin Buber diceva: “Io amo la libertà, ma non le credo! … Essere costretti dal destino, dalla natura, dagli uomini: l’opposto non sarà essere liberi da essi, ma essere in comunione e in coalizione con essi. … Vivere sulla base della libertà è una responsabilità personale, altrimenti non è che una farsa patetica”. Al momento della resa dei conti, la differenza tra il “servo buono e fedele” e il servo “malvagio e pigro” sarà proprio nel segno della responsabilità tra chi avrà agito mettendo a frutto i doni ricevuti e chi invece non l’avrà fatto, vivendo libero, solo per se stesso. Per questo: “a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha”.

Nella VII Giornata Mondiale dei Poveri, Papa Francesco ci ricorda: “La nostra attenzione verso i poveri sia sempre segnata dal realismo evangelico. La condivisione deve corrispondere alle necessità concrete dell’altro, non a liberarmi del mio superfluo. Anche qui ci vuole discernimento, sotto la guida dello Spirito Santo, per riconoscere le vere esigenze dei fratelli e non le nostre aspirazioni. Ciò di cui sicuramente hanno urgente bisogno è la nostra umanità, il nostro cuore aperto all’amore.”. Buona Domenica!

don Marco Belladelli.

 

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