Giotto, Giudizio universale (particolare) 1306, Cappella degli Scrovegni - Padova. |
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, “A”.
GIORNATA MONDIALE DEI POVERI
Sei
stato fedele nel poco: prendi parte alla gioia del tuo padrone.
DAL VANGELO SECONDO MATTEO (25,14-30)
In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e
consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un
altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva
ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così
anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che
aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose
il denaro del suo padrone.
Parola del Signore.
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E’ bene ricordare che siamo
prossimi alla fine dell’anno liturgico e la Chiesa ci invita a riflettere sulle
realtà ultime e cioè sulla fine della nostra esistenza e su ciò che ci attende
dopo la vita terrena, tema presente nel Catechismo della Chiesa Cattolica con
il titolo di “novissimi” e articolato in quattro contenuti: morte e giudizio,
inferno e paradiso. Riguardo poi al testo evangelico, va pure ricordato che la parabola dei talenti fa parte del
discorso escatologico, ai capitoli 24 e 25 di Matteo, nel quale l’evangelista
ci parla della parusia, e cioè del ritorno del Signore, la sua seconda venuta
alla fine dei tempi.
Come nella parabola delle
vergini, pure qui c’è qualcuno che ritarda, è colui che all’inizio è chiamato
genericamente “un uomo” e al ritorno dal viaggio
“il padrone”, colui con cui alla fine siamo
chiamati alla resa dei conti. Prima di partire ha distribuito i suoi beni ai
servi in parti differenti, a chi cinque, a chi tre, a chi un solo talento,
secondo il criterio della capacità di ciascuno. Il talento era una unità di
misura del peso che equivaleva a 58,9 kg,
divenuto nel corso del tempo una moneta, il cui valore dipendeva dal metallo a
cui ci si riferiva: oro, argento, bronzo o ferro, parametri per una valutazione
odierna della sua equivalenza. Una bella somma anche per colui a cui è toccato
meno, tenuto conto che si tratta di una elargizione gratuita e di cui ciascuno
è libero di disporre come meglio crede. La lontananza del padrone sta infatti ad indicare che Dio non ci sta col fiato sul
collo, ma che l’uomo ha una sua libertà d’azione, soprattutto per quel che
riguarda la sua realizzazione nelle realtà temporali.
Quando meno te l’aspetti, il padrone torna e chiede conto ai servi di
come hanno utilizzato i beni ricevuti, per renderli partecipi di gioie ancora
più grandi, quale la vita eterna. I primi due hanno raddoppiato il capitale. “Bene, servo buono e fedele, - dice
loro il padrone - sei stato fedele nel
poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Il terzo invece, quello
con un solo talento, dopo aver accusato il padrone di essere una persona dura,
avida e di incutere paura nei servi, riferisce candidamente di avere sotterrato
il talento ricevuto e di essere pronto a restituirglielo, senza fargli torto.
La reazione del padrone è indignata: “Servo malvagio e pigro … ” e la condanna ancor più
terribile: “il servo inutile
gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Fuori dalla metafora, il
padrone è Gesù, il Dio fatto uomo e Signore dell’universo, e noi siamo i servi.
I talenti sono la vita e i doni di grazia che tutti abbiamo ricevuto, un
capitale da sviluppare e far fruttare nell’orizzonte dei significati e dei
valori del regno di Dio, e non da
lasciare inutilizzato o da sperperare capricciosamente a proprio piacere. La
parabola evoca chiaramente la realtà del giudizio ultimo, a cui tutti saremo
sottoposti dopo la nostra morte, quando apparirà il vero valore della nostra
vita terrena relativamente allo sviluppo e alla crescita del regno di Dio: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho
guadagnati altri cinque”; oppure se per varie ragioni ci siamo sottratti a
questo progetto di vita divino: “Signore, so che sei un
uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho
avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che
è tuo”.
Non ci sarà spazio per giustificazioni, intercessioni o mediazioni varie,
perché sarà chiaro a tutti quello che è stato o non è stato, senza alcuna
ambiguità. Infatti nel momento della morte ciascuno di noi acquisisce una consapevolezza
cristallina del bene e del male di cui è stato responsabile, a cui seguirà l’incontro
con Gesù Signore che fraternamente ci chiederà: “Parlami di te, Sorella/Fratello”. Come ha detto Papa Benedetto XVI
nell’enciclica Spe salvi : “Il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana mediante
una trasformazione certamente dolorosa «come attraverso il fuoco». È, tuttavia,
un dolore beato, in cui il potere santo del suo amore ci penetra come fiamma,
consentendoci alla fine di essere totalmente noi stessi e con ciò totalmente di
Dio. Così si rende evidente anche la compenetrazione di giustizia e grazia: il
nostro modo di vivere non è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia
eternamente, se almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e
verso l'amore.” (n.47).
Nella parabola sono presenti altri temi, come per esempio quello della
condanna eterna, insieme a quello della libertà dell’uomo. E’ la sesta volta
che Matteo parla delle tenebre, una
solitudine a cui non c’è rimedio e una sofferenza inconsolabile, come lascia
intendere lo “stridore di denti”,
proprio di chi è dimenticato da Dio. Nel servo inutile infatti riconosciamo
coloro che non fanno nulla per il regno dei cieli, hanno un’idea sbagliata di
Dio, tanto da averne paura o accusarlo di essere ingiusto.
A proposito poi della libertà, Martin Buber diceva: “Io amo la libertà, ma non
le credo! … Essere costretti dal destino, dalla natura, dagli uomini: l’opposto
non sarà essere liberi da essi, ma essere in comunione e in coalizione con
essi. … Vivere sulla base della libertà è una responsabilità personale,
altrimenti non è che una farsa patetica”. Al momento della resa
dei conti, la differenza tra il “servo buono e fedele” e il servo “malvagio e pigro” sarà proprio nel segno
della responsabilità tra chi avrà agito mettendo a frutto i doni ricevuti e chi
invece non l’avrà fatto, vivendo libero, solo per se stesso. Per questo: “a chiunque ha, verrà dato e sarà
nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha”.
Nella VII Giornata Mondiale dei Poveri, Papa Francesco ci ricorda: “La
nostra attenzione verso i poveri sia sempre segnata dal realismo evangelico. La
condivisione deve corrispondere alle necessità concrete dell’altro, non a
liberarmi del mio superfluo. Anche qui ci vuole discernimento, sotto la guida
dello Spirito Santo, per riconoscere le vere esigenze dei fratelli e non le
nostre aspirazioni. Ciò di cui sicuramente hanno urgente bisogno è la nostra
umanità, il nostro cuore aperto all’amore.”. Buona Domenica!
don
Marco Belladelli.
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