Giovanni d'Enrico, statue dei farisei, particolare della Cappella XXXV - Sacro Monte di Varallo (VA) |
XXXI Domenica del Tempo Ordinario,
“A”.
Dicono e non fanno
DAL VANGELO SECONDO MATTEO (23,1-12)
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle
piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi
siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché
uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”,
perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro
servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Parola del Signore.
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Siamo sempre nel tempio a Gerusalemme, dove gli avversari di Gesù hanno
provato in tutti i modi a coglierlo in fallo, senza riuscirci. Ora è a lui
prendersi la rivincita e, rivolgendosi prima alla folla e poi ai discepoli,
esprime a tutto campo il suo pensiero sugli scribi e i farisei. Un’invettiva che
occupa tutto intero il capitolo 23° di Matteo. Per capire chi sono gli scribi e
i farisei, dobbiamo andare al II secolo a.C., al tempo dei regni ellenistici,
successivi all’impero di Alessandro Magno, quando insieme al dominio politico, si
era diffusa anche la cultura ellenistica, cioè il modo di vivere e di pensare
alla greca. Verso il 150 a.C. un gruppo di Ebrei, chiamati gli Asmonei, in nome
della fedeltà alle tradizioni dei padri, reagirono anche militarmente all’imposizione
della omologazione culturale, tanto da guadagnarsi l’indipendenza politica per
circa un secolo, fino all’arrivo dei Romani, quando nel 66 a.C. Pompeo conquistò Gerusalemme e tutta
la Palestina. Questa storia è narrata nei due libri dei Maccabei. In quel
periodo sorsero gli asidei, da cui i “farisei”,
traslitterazione greca del termine aramaico, che significa “separati”, perché non si
confondevano con quanti non aderivano ai loro principi. Erano persone molto
religiose, scrupolose nell’osservanza della legge mosaica e di tutte le tradizioni
da essa derivate. A loro dire, chi compie le buone opere prescritte dalla legge
è certo della salvezza divina. Tra i farisei vi erano gli scribi, uomini
colti, dediti allo studio e
all’insegnamento della Toràh. I “rabbì” erano i loro maestri, che animavano
delle vere e proprie scuole per trasmettere e diffondere la conoscenza della
legge alle nuove generazioni. Secondo loro, il Messia si sarebbe manifestato
come un nuovo Mosè, per estendere quegli stessi doveri religiosi a tutta
l’umanità. L’attesa del Messia li rendeva particolarmente attenti a tutti i
nuovi fenomeni spirituali della Palestina, ragione che giustifica la loro
presenza nei racconti evangelici, a cominciare dal Battista in poi. Il
particolare risalto che hanno nel racconto di Matteo è dovuto al contesto
giudaico-cristiano da cui ha origine il testo. Uno dei temi ricorrenti è il
confronto tra “ciò che fu detto agli antichi” ed il “ma io vi dico” di Gesù, tema che
alla fine si trasforma in una aspra la polemica tra la nuova comunità cristiana
e la sinagoga. Oggi “fariseo” ha un’accezione esclusivamente negativa, sinonimo di ipocrita, impostore,
leguleio e persona eccessivamente formalista.
Il brano evangelico di oggi è particolarmente duro nei
confronti dei farisei e degli scribi. “Seduti
sulla cattedra di Mosè”, segno dell’autorità divina
della Legge, Gesù li accusa non tanto del loro
insegnamento, quanto piuttosto di sottrarsi alla sua osservanza, come risulta
dalla condanna: “dicono
e non fanno”. Sono diventati dei cattivi maestri, non perché
insegnano il male o cose sbagliate, ma perché non mettono in pratica quanto
insegnano: “legano
infatti pesanti fardelli … sulle spalle della gente, ma loro non vogliono
muoverli neppure con un dito”. A questo si aggiunge la vanità
di “essere
ammirati dagli uomini” e di occupare sempre i primi
posti. Essi contravvengono così al 2° comandamento, che nella formulazione
biblica integrale recita: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di
quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la
terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il
Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli
fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che
dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e
osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo
Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano” (Es
20,4-7), nel quale non viene solamente proibita la bestemmia,
ma qualsiasi forma di idolatria, di abuso e oltraggio all’autorità di Dio,
secondo l’accusa di Gesù agli scribi e ai farisei, e vengono pure condannate
tutte le forme patologiche di religiosità, come il formalismo, l’integralismo,
il fondamentalismo, la superstizione e tutti gli altri eccessi che trasformano
una religione in una realtà discriminante e opprimente. Nella seconda parte del
discorso (vv. 8-12), rivolgendosi ai discepoli, alla nuova comunità, la sua
Chiesa, Gesù raccomanda: “Ma tra voi non sia così”,
mettendoci in guardia dal rischio di cadere negli stessi errori degli scribi e
dei farisei.
Che cos’è allora “vera religione”? Dal grande Giubileo del 2000 fino ad oggi si sono ripetuti
tanti “mea culpa”, e altri dovranno ancora venire, per tutte le volte che si è usato il nome di Dio e la
religione per mortificare e non per liberare l’uomo dalle sue miserie,
invitando tutti a purificare la propria fede da tutto ciò che non è secondo
Dio, perché, come conclude il brano evangelico di oggi: “chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si
umilierà sarà esaltato”. E’ il
caso di ricordare che “Dio non fa preferenza
di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a
qualunque nazione appartenga” (Atti
10,34-35).
Buona
Domenica!
don
Marco Belladelli.
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