Pietro Cavallini, Giudizio universale (particolare), 1293, Basilica di S. Cecilia (Roma). |
XXXII Domenica del tempo Ordinario “C”
Dio non è dei morti, ma dei viventi.
Dal Vangelo secondo Luca (20,27-38).
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e
gli posero questa domanda: «Maestro,
Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è
senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio
fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie,
morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e
sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna
dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno
avuta in moglie».
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Oggi la liturgia
ci invita a riflettere sulle realtà ultime. Sono i temi che nel Catechismo vanno sotto il nome di “novissimi”, le quattro realtà della
morte, del giudizio, dell’inferno e del paradiso, riassunti negli articoli del Credo riguardanti la risurrezione della
carne e la vita eterna. Sono verità importanti sulle quali si fonda la Speranza
cristiana, la terza virtù teologale, insieme alla Fede e alla Carità, che ci
permette di vivere la nostra quotidianità costantemente orientati verso la vera
vita che ci attende per l’eternità, fiduciosi che Dio realizzerà quanto ha
promesso. Sostenuti dalla fede, dai segni e dalle grazie che ogni giorno il
Signore ci dona, viviamo il comandamento della carità, che Gesù ci ha
consegnato, nella Speranza dei beni eterni.
Ascoltiamo che cosa ha detto Gesù a proposito di ciò che ci aspetta dopo la morte.
Dopo il lungo
viaggio, iniziato al cap. 9 del racconto di Luca, siamo finalmente arrivati a
Gerusalemme. Gesù sceglie il tempio come luogo della sua predicazione nella
città santa. Per gli Ebrei il tempio è il luogo più sacro della terra. E’ unico
al mondo e soltanto nel Tempio di Gerusalemme era possibile celebrare i
sacrifici prescritti dalla Legge in occasione delle feste ebraiche e delle
varie circostanze della vita per celebrare la comunione con Dio. Non va confuso
con le sinagoghe, presenti dovunque ci sia una comunità ebraica, nelle quali ci
si riunisce ogni sabato per pregare e ascoltare la Toràh, cioè la legge di
Mosè, i Profeti e gli altri libri dell’antico testamento.
Il tempio era governato dai sacerdoti, i quali dopo il ritorno dall’esilio babilonese avevano gradualmente assunto anche la guida politica del popolo. La maggior parte di essi apparteneva al gruppo dei Sadducei, composto quasi esclusivamente dall’aristocrazia ebraica. Erano loro a trattare con i Romani per conto del popolo d’Israele. Al contrario dei Farisei, rispettavano soltanto la legge scritta e non seguivano i dettami della tradizione orale. Non credevano nella vita eterna e nemmeno nella risurrezione dei morti. Ritenuti i responsabili della disfatta di Israele, scomparvero quasi del tutto dopo la prima guerra giudaica, una rivolta contro i Romani, conclusasi con la distruzione di Gerusalemme nel 70 dC da parte dell’imperatore Tito, occasione anche per una guerra civile, una resa dei conti tra le varie fazioni interne al popolo d’Israele.
Sono loro oggi ad interrogare Gesù. Non credendo nella risurrezione dei morti, gli sottopongono il caso della donna, moglie di sette mariti, un esempio usato abitualmente nelle scuole rabbiniche. Una situazione tanto paradossale da risultare secondo loro insolubile e quindi adatto per negare l’esistenza di una vita dopo a morte.
Gesù ha scelto di parlare al tempio per non si confondersi con gli altri maestri della legge e le loro scuole rabbiniche. Egli parla in nome di Dio e rivela le verità del Cielo. Nella sua risposta infatti non avanza ipotesi teologiche da dimostrare. La sua non è l’opinione di un esperto, ma la Verità di Dio. Egli parla per conoscenza diretta e le sue affermazioni ci aprono al mistero che ci attende.
Il primo insegnamento riguarda il superamento della sessualità umana, perché nell’al di là non è più necessario assicurare la continuità della specie, pur mantenendo ciascuno la propria identità personale: “Quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito”. Basta questo per smontare il castello costruito dai Sadducei a sostegno delle loro tesi.
Il secondo insegnamento riguarda la nuova condizione dei defunti: “Infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio ”. Con la morte siamo trasformati (cfr. 1Cor 15,15) nella dimensione di una corporeità spirituale immortale ed eterna, come quella degli Angeli, nella quale si vive in pienezza l’essere figli di Dio. Gli Angeli sono entità personali, individuali e spirituali, la cui caratteristica consiste nello stare alla presenza di Dio per servirlo come fedeli messaggeri ed interpreti della sua volontà. Noi uomini invece abbiamo un rapporto filiale con Dio, simile al rapporto di Gesù con il Padre, “figli nel Figlio”.
Gesù parla anche
del ‘giudizio’ personale che segue subito dopo la morte: “Quelli che sono giudicati degni della vita futura …”, che consiste
in un confronto con il Signore Gesù nella sua autorità di Re e Giudice
misericordioso, nel quale viene passata in rassegna tutta la vita terrena per
decidere la nostra destinazione eterna, il paradiso per i giusti, il purgatorio
per chi necessita di una purificazione per le pene meritate per i propri peccati,
e l’inferno, per coloro che volontariamente e consapevolmente hanno ignorato
Dio e il suo volere o addirittura lo hanno avversato.
Alla fine Gesù ribadisce che Dio è il Dio dei viventi e non dei morti “perché tutti vivono per lui.”. Le sue affermazioni ci rivelano una realtà sconosciuta e del tutto inaccessibile alla ragione umana, che riempie di Speranza il nostro vivere, dando un senso e un fine all’esistenza terrena. L’alternativa è il vuoto, il nulla e la disperazione. Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
Grazie don Marco x queste spiegazioni buona domenica
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