Andrea del Castagno, Ultima cena, 1447 - Museo di S. Apollonia - Firenze. |
V Domenica di Pasqua “C”
Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni agli altri.
Dal Vangelo secondo Giovanni (13, 31-33a. 34-35)
Quando Giuda fu uscito ,
Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato
glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo
glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi
amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni
gli altri.
Parola del Signore.
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“Quando Giuda fu uscito”.
Giovanni annota in quale preciso momento Gesù disse le parole che oggi
ascoltiamo nel Vangelo. Il contesto è quello dell’ultima cena. Il capitolo 13°
è iniziato con la lavanda dei piedi e continua con Gesù che spiega agli Apostoli il significato di
quel suo gesto. Fallito anche l’estremo tentativo di far recedere Giuda dai
suoi propositi, Gesù rivela la presenza di un traditore tra di loro, il quale
subito dopo abbandona il cenacolo. Nonostante lo sgomento provocato dalla
rivelazione del traditore, gli Apostoli non capiscono fino in fondo che cosa
stia accadendo. Sono due momenti paradossalmente opposti, tenuti però insieme
dal “farsi servo” di Gesù, cioè la
decisione di affrontare la passione, che avrà il suo culmine nella sua morte in
croce, come ha anticipato Giovanni nell’introduzione del capitolo: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li
amò sino alla fine” (Gv 13,1).
La
gloria di cui parla Gesù all’inizio del nostro brano è in riferimento alla
sofferenza della passione e della morte in croce che lo attendono, mai tanto
certe dopo il tradimento di Giuda, e al successivo trionfo glorioso della
risurrezione che li riassume tutti. Il gesto del traditore non toglie nulla
alla libertà di Gesù di offrire tutto se stesso in sacrificio, per compiere la
volontà del Padre. La passione, morte e risurrezione non sono altro che la
conseguenza della sua più totale obbedienza, per la quale “anche Dio è stato glorificato
in lui”. La glorificazione
di Gesù segna un distacco dai discepoli, che viene colmato dalla consegna del comandamento
nuovo: “Come io vi ho amato, così
amatevi anche voi gli uni gli altri”. Il sacrificio della croce è reso
possibile dall’amore di Gesù per il Padre, un bene che viene riversato in
massima misura anche su di noi per diventare la giustificazione vera e profonda
dell’amore fraterno e caratterizzare anche la vita dei discepoli che formeranno
la nuova comunità escatologica, nata dal fianco squarciato di Gesù sulla croce.
Il
comandamento nuovo indicato da Gesù
non va inteso come un semplice principio a cui ispirare il proprio agire, né
tantomeno come un precetto morale da mettere in pratica e nemmeno come
l’orizzonte della propria auto realizzazione psico-sociale. Si tratta di una
“via” da percorrere insieme a Gesù, fino alla consumazione totale di noi stessi
e che conduce alla salvezza di tutta la nostra persona, in tutte le sue
dimensioni. Il “Come io ho amato voi” prima di essere un termine di paragone
con cui confrontarsi, di fronte al quale ci scopriremo inevitabilmente sempre
miseramente mancanti, è l’esperienza della viva e vera presenza di Gesù accanto
a noi, che ci ama fino alla morte e che si ripropone nella comunione
eucaristica. E’ l’accoglienza del suo amore nella nostra vita che ci rigenera e
ci rende capaci di amare allo stesso modo. Quello che Gesù chiama il comandamento nuovo è l’Amore che ha vinto il mondo e che
si diffonde in modo contagioso di persona in persona fin quando Dio sarà tutto
in tutti (cfr. 1Cor 15,28). Ad ostacolarlo c’è lo spirito della mondanità,
spesso evocato da Papa Francesco e individuabile in tutto ciò che si
contrappone all’autentico spirito evangelico. Un conflitto presente fin dei
primi tempi di vita della Chiesa, di cui troviamo traccia nella 1° lettura
quando Paolo e Barnaba, per confermare nella fede le nuove Comunità cristiane
da loro fondate in Asia minore, ripetono con insistenza che per entrare nel
regno di Dio bisogna attraversare molte tribolazioni (cfr Atti 14,22). E’ la
passione di Gesù che si prolunga nella passione della Chiesa. Non
meravigliamoci dunque di quello che oggi c’è nel mondo, a cominciare da questa
“guerra blasfema”, come l’ha definita Papa Francesco, perché tutto il male che
ci circonda, violenza, corruzione, ingiustizia, menzogna e tutto ciò che ha “come misura solo il proprio ‘io’ e le sue
voglie” (Ratzinger), non fa altro che confermare quanto bisogno c’è del
vero “Amore”, carta d’identità del cristiano. Il nuovo Testamento non conosce
altri segni per individuare la Chiesa, se non quello dell’amore fraterno: “Da
questo tutti sapranno che siete miei discepoli”. Non ci sono riti, non
ci sono professioni di fede, non ci sono devozioni, non ci sono leggi che
possano barattare l’amore fraterno e supplire alla sua mancanza. Buona
Domenica!
don Marco Belladelli.
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