Rembrandt, La tempesta sedata, 1633. |
XII Domenica del Tempo
Ordinario, “B”
Chi è costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?
Dal Vangelo secondo Marco (4,35-41).
In quel giorno, venuta la sera,
Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla,
lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con
lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto
che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora
lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?». Parola del Signore.
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“Chi è
costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?” è la domanda con cui
si conclude il brano evangelico proposto oggi dalla liturgia. Un interrogativo
attorno al quale l’evangelista Marco sviluppa tutta la sua narrazione.
All’inizio del suo scritto egli ha già indicato con molto chiarezza quello che
è la sua convinzione in proposito, dichiarando apertamente di chi intende
parlare: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (1,1), affermazione
che trova eco nelle parole del Centurione, quando sotto la croce proclama la
sua fede, esclamando: “Davvero quest'uomo
era Figlio di Dio!” (15,39).
Terminato l’insegnamento sul regno di Dio per
mezzo delle parabole, nei racconti che seguono san Marco ci mostra la potenza
di Dio visibile e riconoscibile che opera in Gesù. Congedata la folla, Gesù decide di attraversare il lago
di Tiberiade con i discepoli. Tutto
quello che succede da questo momento in poi è conseguenza di questa sua
decisione. Lo scatenarsi della natura, del vento e dell’acqua, contro le
barche, mentre Gesù dorme tranquillo e sereno a poppa, diventa l’occasione
propizia per mettere una prima volta alla prova la fede dei discepoli. Gesù
porta i discepoli ad avvertire il terrore di fronte al rischio di perdere la
vita, per rafforzare la loro fede in lui e nella sua opera, anche se
apparentemente il tutto può sembrare insignificante, come un piccolo seme di
senape. La paura ed il terrore devono essere superati da una fede che,
attraverso le più diverse esperienze di vita, di giorno in giorno diventa
sempre più forte e capace di affrontare qualsiasi prova, anche il rischio della
morte. Essere stati scelti da Gesù per stare con lui e continuare la sua
missione nel mondo, non significa essere dei privilegiati, garantiti in tutto e
per tutto contro ogni pericolo e rischio. Come il cammino terreno di Gesù è
stato disseminato da difficoltà, dall’inizio alla fine, così sarà anche per i
suoi discepoli, fino alla fine dei tempi.
Tutto l’episodio è disseminato da domande, a
cominciare dall’angoscia dei discepoli che si vedono rovinati: “non t’importa che siamo perduti?”, come
i demoni nella sinagoga di Cafarnao (cfr. 1,24). Anche Gesù si rivolge ai
discepoli con delle domande a proposito della loro paura e della loro mancanza
di fede: “Perché avete paura? Non avete
ancora fede?”. Una problematicità che orienta a superare il panico dovuto
al pericolo di perdere la vita con una fede incondizionata in Gesù, cominciando
a prendere sul serio la sua presenza in mezzo a noi e la sua opera di salvezza.
La domanda finale: “Chi è costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”,
rimane senza risposta, aperta su tutto il ministero pubblico di Gesù,
caratterizzato in numerose circostanze dalla manifestazione della sovrumana
potenza divina, come è avvenuto per la tempesta sedata. In realtà si tratta di una duplice domanda,
che possiamo riformulare in questo modo: Chi
è costui che compie tali cose? Chi è costui che chiede una tale fede?
Domande non soltanto per i discepoli che hanno vissuto l’esperienza della
tempesta e della potenza salvatrice di Gesù, ma per tutti i credenti di ogni
tempo e di ogni luogo, soprattutto per chi si riunisce ogni Domenica per
celebrare l’Eucaristia, per fare la stessa esperienza dei discepoli durante la
traversata del Mare di Galilea, cioè di rafforzare la propria fede.
Questo brano rimarrà nella storia per essere
stato proclamato in occasione della preghiera straordinaria di Papa Francesco per
la pandemia del 27 marzo 2020 in una piazza San Pietro deserta, conclusosi con
la benedizione “Urbi et Orbi”. Per
chi volesse rileggere le parole del Santo Padre, clicchi sul link: Momento
straordinario di preghiera presieduto dal Santo Padre (27 marzo 2020) |
Francesco (vatican.va). Riporto un breve
passaggio di quella riflessione: “Abbracciare la sua croce significa trovare
il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente,
abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per
dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare.”. Quante volte ci siamo
trovati nostro malgrado in mezzo alle tempeste della vita. Il Signore ci ha
condotti al turbamento più profondo e ci ha anche tirati fuori decisamente più
forti nella fede. Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
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