mercoledì 11 marzo 2020

NUOVA EVANGELIZZAZIONE/38


La fede al tempo del coronavirus
Qualcuno ha fatto notare (http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/ 09/03/2020) che allo zelo dei Vescovi italiani nell’adeguarsi alle norme igieniche emanate dalle autorità civili in occasione dell’attuale emergenza coronavirus, in mezzo al frastuono delle varie voci che rimbalzano sui media, non abbia corrisposto da parte degli stessi Vescovi la capacità di dire una parola propria, cioè una parola “cattolica”, oltre le generiche raccomandazioni di circostanza. 
Non sono un parroco e, ringraziando il Signore, non sono stato costretto a chiudere la porta della chiesa in faccia ai miei fedeli per salvaguardarli dal contagio. Continuo a celebrare l’Eucaristia ogni giorno, durante la quale mi ricordo in modo particolare di tutti coloro che sono coinvolti in prima persona in questa emergenza: malati, operatori sanitari, autorità chiamate a prendere le decisioni del caso, tutti coloro che sono condizionati per le restrizioni imposte e infine anche di tutti coloro che senza loro responsabilità sono privati dell’Eucaristia, soprattutto nelle due ultime Domeniche.
Un antico motto recita che “l’Eucaristia edifica la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia”. Non c’è bisogno di particolari studi teologici per capire quanto sia stretto il rapporto tra l’Eucaristia e la Chiesa. Rompere questo rapporto quotidiano delle Comunità cristiane con il Sacramento della presenza viva di Cristo in mezzo a noi significa intaccare la realtà stessa della Chiesa. In questi giorni in una lettera indirizzata ad un Vescovo veneto ho trovato un riferimento dei fedeli sottoscrittori ai martiri di Abiténe, che nel 304 affrontarono la morte piuttosto che rinunciare all’Eucaristia domenicale. E in questo senso gli esempi si potrebbero moltiplicare.
Se il laicismo imperante dei nostri giorni  giustifica in qualche modo l’esagerata fretta delle autorità civili di stoppare le manifestazioni religiose come possibili luoghi di contagio (in palese contraddizione con se stesse quando contemporaneamente hanno lasciato aperte le attività di ristorazione dove, come è successo nell’ultimo fine settimana, si aggregano molte più persone di quelle che abitualmente frequentano le S. Messe feriali), non riesco a capire la remissività dei Vescovi nell’adeguarsi senza dire una parola previa né postuma, come se la cosa più ovvia da fare fosse la serrata generale e basta. In tutte le emergenze umanitarie la Chiesa è sempre stata al primo posto sia per la sollecitudine verso chi soffre, sia come guida del popolo di Dio. Oggi invece a guidarci c’è la Protezione civile, ridotta negli ultimi anni per le varie vicende politiche che l’hanno interessata a poco più che una rubrica telefonica. La Bibbia ricorda che quando siamo malati, il peggio che ci possa capitare è quello di cadere nelle mani del medico (cfr. Sir 38,15). Se poi consideriamo lo stretto connubio dei nostri tempi tra sanità e politica, viene da mettersi le mani nei capelli. Mi si può obiettare che non è il caso di esagerare, si tratta sempre di una situazione temporanea, prima o poi tutto tornerà come prima e quanto stiamo vivendo non sarà che un brutto ricordo da dimenticare. Al di là dei pro e contro, un confronto alla fine paralizzante, il primo compito dei pastori è sempre quello di essere per i fedeli guide e ministri del Signore Gesù. Più concretamente, ritengo che all’interno delle disposizioni emanate dalle autorità civili vadano cercate le modalità praticabili per continuare ad essere la Chiesa di Cristo, morto e risorto per noi, invece di limitarsi a ripetere: “Chiudetevi in casa e pregate”. Va in questo senso l’esortazione di ieri di Papa Francesco, quando invita i sacerdoti ad avere il coraggio di portare la Comunione agli ammalati, anche a quelli col coronavirus. Un gesto che non ha soltanto un valore consolatorio, ma che apre la strada per affermare e mettere a disposizione di tutti i beni di grazia di cui siamo portatori nel nome del Signore Gesù, beni che a cominciare dalla S. Messa, per la loro natura hanno un indole sociale e pubblica, e aggiungo pure terapeutica, sono cioè il punto di partenza e di forza per uno sviluppo positivo di ciò che stiamo vivendo.     
don Marco Belladelli.

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