La vendemmia, Mosaico del IV sec. Mausoleo di S. Costanza - Roma |
V
Domenica di Pasqua “B”
Chi
rimane in me ed io in lui fa molto frutto.
Dal Vangelo secondo Giovanni (15, 1-8)
In quel tempo, Gesù disse ai
suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni
tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto,
lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che
vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». Parola del Signore.
Oggi
Gesù ci propone un’altra importante immagine per rappresentare il rapporto tra
lui ed i discepoli: quello della vite e dei tralci. Siamo nel contesto
dell’ultima cena, uno dei momenti più solenni di tutta la vita di Gesù ed egli
si paragona alla vite mentre i discepoli sono i tralci. Come la fecondità del
tralcio dipende dal suo rimanere attaccato alla vite, la stessa cosa vale anche
per la vita del discepolo: “Chi rimane in
me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.
La fecondità della vita cristiana dipende quindi dal rapporto che ci unisce a
Gesù. In alternativa c’è il giudizio di condanna e di perdizione, rappresentato
con l’immagine del tralcio secco, gettato nel fuoco e bruciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». Parola del Signore.
All’inizio e alla fine del nostro brano si fa riferimento a Dio Padre, paragonato al vignaiolo, cioè all’agricoltore, che si prende cura della vigna. E’ Lui che pota il tralcio, perché porti più frutto, mentre quello secco viene tagliato e gettato via. La gloria e il vanto del Padre consistono nell’abbondanza dei frutti prodotti dalla vita dei discepoli. Viene spontaneo chiederci: siamo un tralcio che porta frutto o invece siamo un tralcio secco? Ma soprattutto: quanto è vitale il nostro rapporto con Cristo? A questo proposito mi vengono alla mente le famose parole con cui l’allora cardinal Ratzinger, prima di essere eletto Papa, paragonava la vita dei cristiani di oggi ad una barca sballottata dalle turbolenze del pensiero moderno, dominato dalla dittatura del relativismo, dove unico l’unico metro di giudizio della realtà è il proprio “io”. Per verificare questa supponenza del nostro “io”, non c’è bisogno di ricorre a sofisticate analisi psico-socio-filosofico. Bastano poco per accorgersi quanto il nostro spirito sia soffocato dall’individualismo. Molto spesso nel dialogo spirituale della confessione o della direzione spirituale capita di incontrare persone che sono sinceramente alla ricerca di Dio, ma incapaci di raggiungerlo per quel circolo vizioso che li porta continuamente a ritenere se stessi la misura del mondo. La realtà della Pasqua, cioè la risurrezione di Cristo, con il suo: “Rimanete in me e io in voi”, è la possibilità concreta di trascendere il nostro “io”. Accogliendo questa presenza di Gesù in noi attraverso l’ascolto della Parola, la grazia dei sacramenti e la preghiera diventiamo capaci di quelle opere, che indicano la presenza del Regno di Dio in mezzo a noi: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra…”. Un suggerimento molto concreto: quando ci raccogliamo in preghiera, anche se il nostro animo è segnato dalla sofferenza o provato dalla conflittualità della vita, ricordiamoci di iniziare sempre il nostro incontro con Dio con la lode della sua grandezza, la benedizione per le opere meravigliose da lui compiute e il ringraziamento per tutti i doni ricevuti. Questo atteggiamento che ci permette di entrare immediatamente in sintonia con Gesù e ci dispone ad ottenere quella comunione feconda che ci ha promesso: “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto”.
Buona Domenica!
don Marco Belladelli.
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