Pier Paolo Rubens Santissima Trinità |
Solennità
della SS. Trinità “A”
Dio ha mandato il Figlio suo perché il mondo si salvi per mezzo di
lui.
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». Parola del Signore.
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Dopo
aver celebrato gli eventi fondamentali della vita di Gesù, l’incarnazione, la
morte e risurrezione e il dono dello Spirito Santo, la Chiesa ci invita a
contemplare il mistero principale della nostra fede: l’unità e la trinità di
Dio. Mistero naturalmente non nel senso di cosa oscura e astrusa, ma di realtà a
noi superiore perché ci coinvolge al tal punto da esserne “compresi”,
contrariamente a quanto avviene per ogni altro processo conoscitivo, dove
qualsiasi altro oggetto è da noi “compreso”. In questo percorso infatti è la
fede a guidare la ragione, perché la riflessione insegue l’esperienza dell’incontro,
del rapporto e della comunione con Dio. Per non smarrirci in elucubrazioni che
rischiano di portarci fuori strada, partiamo dal brano evangelico che oggi la
liturgia ci propone.
Siamo
al terzo capitolo di Giovanni, dove nella prima parte si racconta l’incontro
notturno di Gesù con Nicodemo, un fariseo membro del Sinedrio, il quale
manifesta al Maestro la sua stima personale e le perplessità sul suo messaggio.
Gesù risponde che tutto ciò che riguarda il regno di Dio viene dall’alto, viene
dallo Spirito ed è opera di Dio (Gv3,3.5). Lo può comprendere soltanto chi è
disposto a rinascere “dall’alto” (Gv
3,7). Segue l’esempio di Mosè che innalzò il serpente nel deserto, figura della
prossima crocifissione di Gesù, per mezzo della quale chi crede avrà la vita
eterna.
Arriviamo
così al nostro brano composto di tre affermazioni. Nella prima Gesù rivela il
piano di salvezza di Dio, che “ha tanto
amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16) perché chi crede non
vada perduto, ma abbia la vita eterna. Secondo
la figura letteraria tipicamente semitica del parallelismo sinonimico, segue la
riformulazione dello stesso concetto al negativo. Nella terza affermazione si
traggono le conseguenze di questo modo di essere e di agire di Dio, e cioè: condanna
e salvezza non sono conseguenze della discrezionalità divina, ma dipendono dal
rifiuto o dalla fede “nell’unigenito
Figlio di Dio”.
Ciò
che a noi principalmente interessa è la rivelazione di Dio come amore infinito,
fino a dare il suo Figlio unigenito: “Dio
ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in
lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Il Dio che “ha tanto amato il mondo” trova la sua
corrispondenza nel Figlio unigenito
che per amore del Padre si è reso disponibile a farsi uomo fino alla morte di
croce (cfr Fil 2,6-8), perché chi crede abbia la vita eterna. L’atto di amore
con cui il Padre offre “il Figlio
unigenito” è in relazione con il “bisogna
che sia innalzato il Figlio dell'uomo” come Mosè aveva innalzato il
serpente nel deserto, che lo precede. Questo significa che in Gesù crocifisso
abbiamo la rivelazione di Dio che è ‘Amore’.
Amore traduce il termine greco “agape”, il cui contenuto non si risolve
nell’affetto o nell’amicizia e tantomeno nell’eros. L’agape consiste nel dono
totale di sé all’altro, senza nessuna contropartita, di nessun genere. Come ha
detto bene Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est, l’agape è amore che “cerca il bene dell'amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio,
anzi lo cerca.”(n. 6).
Siamo
davanti ad una realtà umanamente inimmaginabile
ed assolutamente sorprendente in cui si
sostanzia e si riassume l’essenza stessa di Dio, il mistero a cui ho fatto
riferimento all’inizio di questa mia riflessione a proposito dell’unità della
natura e della trinità delle persone. E’ ancora Benedetto XVI a ricordarci
quanto scriveva S. Agostino: “Se vedi la
carità, vedi la Trinità”.
E’
la novità cristiana che ha cambiato la storia del mondo. La vita cristiana è sostanzialmente
partecipazione al mistero del Dio-Amore.
La Chiesa e soprattutto il sacramento dell’Eucaristia sono i luoghi nei quali
fare l’esperienza di questo mistero. Di conseguenza ogni cristiano dovrebbe fare
della propria vita un dono d’amore nel quale si compie per grazia il disegno
salvifico di Dio. Questo è il senso della vita e la via per la sua realizzazione,
o per dirla in modo psicologico per raggiungere la felicità.
Oggi viviamo in un mondo in cui Dio è di fatto
assente, in tutto o in parte, dalla coscienza e dall’esistenza umana. Papa
Francesco, il giorno successivo alla sua elezione, ai Cardinali presenti in
conclave disse: “Quando non si confessa
Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio.” E subito dopo aggiunse:
“Quando camminiamo senza la Croce,
quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce,
non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti,
Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore.”.
Chi appartiene al mondo fa di tutto per impedire l’esperienza del mistero di
Dio. Questo è il nostro grande problema di oggi: o riusciamo ancora a rendere
accessibile a chiunque questo mistero, oppure per noi è la fine: “chi non crede è già stato condannato, perché
non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.
Buona
festa della Ss. Trinità!
don
Marco Belladelli.
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