VI
Domenica di Pasqua “A”
Pregherò il Padre e vi darà un altro
Paràclito
In quel tempo, Gesù disse ai suoi
discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il
Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo
Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo
conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà
più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi
saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Parola del Signore.
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Dopo la Pasqua, ci
prepariamo a vivere la Pentecoste. L’effusione dello Spirito Santo è il
compimento della Pasqua, un evento altrettanto sorprendente e importante per la
salvezza dell’umanità.
L’esperienza cristiana è
essenzialmente carismatica, nel senso
che è tutta segnata dalla presenza e dall’opera dello Spirito Santo. Con il
dono dello Spirito Santo l’umanità, come il figliol prodigo, ha iniziato il cammino
del ritorno alla casa del Padre, che si concretizza nel riconoscimento di Dio
come creatore e salvatore. Dopo la passione e morte di Gesù, senza lo Spirito i
discepoli sarebbero tornati ciascuno a casa loro, pieni delle loro paure, come
i due di Emmaus (cfr Lc 24,13ss) e la Chiesa non avrebbe visto la luce. Con il
dono dello Spirito Santo si realizza invece la profezia di Gesù: “E io, quando sarò innalzato da terra,
attirerò tutti a me” (Gv 12,32).
L’annuncio del distacco
di Gesù ha provocato nei discepoli un profondo turbamento, come se tutto
dovesse finire. Dopo averli invitati alla fede in lui, come unica via e
concreta possibilità di salvezza per loro stessi e per tutta l’umanità, Gesù parla
del dono dello Spirito Santo da parte del Padre. Un evento di salvezza nel
quale Dio è pienamente coinvolto, come lo è stato nella creazione e
nell’incarnazione.
Questa è la prima di
cinque volte in cui Gesù, durante
l’ultima cena, parla dello Spirito Santo, annunciandone la venuta e illustrandone
l’opera. E’ Gesù stesso che prega il Padre perché mandi lo Spirito.
In prima battuta lo
chiama Paràclito, che significa Consolatore, letteralmente avvocato difensore, l’esatto contrario di
satana, l’avversario. Mentre satana, dopo averci insidiato con le tentazioni e fatto cadere nel
peccato, ci accusa davanti a Dio della nostra infedeltà, il Paràclito si comporta esattamente al
contrario. Egli prende le nostre difese secondo la logica della divina misericordia.
Egli viene “per rimanere con voi per sempre”. Oltre
a soccorrerci nelle difficoltà e a sostenerci nelle debolezze e nell’infermità,
facendosi garante della nostra fedeltà davanti a Dio, egli diventa il tramite
per la comunione con Gesù e con il Padre. Ecco che cosa significa il “Non vi lascerò orfani, verrò da voi” del
v. 18.
In un secondo momento
Gesù lo chiama “lo Spirito della verità”.
Anche in questo caso è l’opposto del diavolo,
la cui caratteristica è quella di essere il
principe della menzogna. . Le sue
attività preferite infatti sono l’ inganno, la falsificazione e la
mistificazione della realtà e del suo significato.
Questa è anche la
ragione per cui il mondo non può né ricevere, né vedere e nemmeno riconoscere lo
Spirito di Dio. Soltanto chi crede potrà riconoscerlo nell’esperienza che
abbiamo della viva presenza di Gesù. Oltre a dimorare in noi e a non farci
sentire orfani, lo Spirito ci introduce nella vita di comunione piena con il
Figlio e con il Padre. Da questa vita di comunione deriva la capacità di
accogliere i comandamenti di Gesù, cioè di amare come lui ci ha amato.
Pensando all’opera dello
Spirito Santo, mi viene in mente un ragazzo che ho incontrato qualche anno fa nel
mio ministero in Ospedale. Nella sua storia ho avuto modo ancora un volta di
toccare con mano in che cosa consista la sua opera e la sua presenza tra noi.
Si chiamava Marco e non aveva ancora trent’anni. Era un operaio. Come tanti
altri ragazzi della sua età, non aveva mai più frequentato la Chiesa dopo la
prima adolescenza. Interessi, amicizie, lavoro, relazioni, ha vissuto tutto
secondo i canoni di questo nostro tempo. Da qualche anno per ragioni di lavoro
viveva in Germania con una compagna più grande di lui. E poi, improvvisamente
ecco la diagnosi di una malattia che non ti aspetti da cui non si guarisce. Neanche
il tempo di rendersi conto di quel che sta succedendo e non c’è più niente da
fare. Due interventi chirurgici a distanza di poco tempo non fanno che peggiorare
la situazione. L’ho frequentato in quest’ultimo tratto di strada della sua
vita.
E’ lui che mi ha cercato
per primo. Mi accoglie con una gioia che mi imbarazza, come se fossi Gesù
Cristo in persona. Neanche il migliore degli amici mi ha mai accolto così! Non
riesce più a parlare. Scrive su qualsiasi pezzo di carta gli capiti in mano. Il
dialogo si concentra subito sull’essenziale. Mi chiede di aiutarlo ad
incontrare Dio e nient’altro, di metterlo in comunione con Lui. Ha capito,
forse troppo tardi dice lui, che è l’unica realtà che da valore alla vita,
sempre e comunque, l’unica a dargli pace. Intanto la vita continua. Continua
soprattutto la sua passione, fino all’inverosimile, fino a succhiare ogni briciolo
di energia. Quando vado a trovarlo presso l’hospice,
dove è stato trasferito, lo riconosco a mala pena, tanto è sfigurato in volto
dalla malattia. Bisogna bere quel calice amaro fino all’ultima goccia. Eppure accano
a lui c’è la sua compagna, la sua famiglia, gli amici. Nessuno lo ha
abbandonato, pendono tutti da quelle labbra, che non si aprono più, neanche per
bere un sorso d’acqua.
Da dove gli è venuta
tanta forza? E tanta sapienza? Chi lo ha ispirato? Chi lo ha reso capace di
amare fino a quel punto? Vieni Santo Spirito!
Buona
Domenica!
don
Marco Belladelli.
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