I Sacramenti ai divorziati
Domanda: Perché la
Chiesa non ammette ai Sacramenti una persona che ha sposato un divorziato? Risposta: E’ di qualche giorno fa la notizia che Papa Francesco ha chiesto di approfondire il problema dell’ammissione ai Sacramenti dei divorziati risposati. In attesa di novità, oggi la posizione della Chiesa è la seguente.
La ragione fondamentale dell’esclusione delle persone risposate o conviventi dai Sacramenti deriva dalla natura sacramentale del matrimonio cristiano, che unisce uomo e donna in Cristo. Con il matrimonio-sacramento gli sposi diventano l’uno per l’altro “segno” della presenza reale di Cristo, e insieme lo sono per la Chiesa e per il mondo. Chi divorzia o semplicemente convive rifiuta questa realtà, cioè di essere “segno” di Cristo, vivo e presente in mezzo a noi. Quando però ci si accosta ai Sacramenti, soprattutto all’Eucaristia, si cerca e si afferma la realtà che si è negata con divorzio. E’ una questione di coerenza: come può la Chiesa affermare che il matrimonio è indissolubile e poi contraddirsi ammettendo i risposati ai sacramenti? Rompendo l'unione del matrimonio, segno dell’amore di Cristo per la Chiesa, sono essi stessi, divorziati e conviventi, che si autoescludono. Affermato il principio, ci sono tre casi in cui è possibile accostarsi ai Sacramenti.
1° caso. Il coniuge “innocente”, che ha subito la separazione o il divorzio e non si risposa, rimanendo fedele ai suoi impegni e alle sue responsabilità, è regolarmente ammesso ai sacramenti.
“La comunità ecclesiale deve più che mai sostenere il coniuge separato, specialmente se innocente; prodigargli stima, solidarietà, comprensione ed aiuto concreto in modo che gli sia possibile conservare la fedeltà anche nella difficile situazione in cui si trova; aiutarlo a coltivare l'esigenza del perdono propria dell'amore cristiano e la disponibilità all'eventuale ripresa della vita coniugale anteriore.
Analogo è il caso del coniuge che ha subito divorzio, ma che - ben conoscendo l'indissolubilità del vincolo matrimoniale valido - non si lascia coinvolgere in una nuova unione, impegnandosi invece unicamente nell'adempimento dei suoi doveri di famiglia e delle responsabilità della vita cristiana. In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa, rendendo ancor più necessaria, da parte di questa, un'azione continua di amore e di aiuto, senza che vi sia alcun ostacolo per l'ammissione ai sacramenti.” (Esortazione apostolica Familiaris Consortio n. 83).
2° caso. E’ possibile ammettere un coniuge divorziato e risposato ai sacramenti quando l’interessato in coscienza è certo della nullità del suo precedente matrimonio, pur non riuscendo a dimostrarlo oggettivamente in un tribunale ecclesiastico. Si tratta ovviamente di casi di coscienza, che i sacerdoti devo trattare con grande delicatezza e riservatezza, nel rispetto degli interessati e della Comunità cristiana loro affidata.
“Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.” (Familiaris Consortio n.84).
3° caso. I divorziati risposati possono essere ammessi ai sacramenti quando marito e moglie decidono liberamente di vivere come fratello e sorella. “La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi»”( Familiaris Consortio n.84).
Per tutti gli altri casi resta la sollecitudine della Chiesa, che li invita a non sentirsi esclusi e a partecipare attivamente alla vita della Comunità cristiana in tutti i modi e le forme possibili. Il Beato Giovanni Paolo II, rivolgendosi con calore ai sacerdoti, li esorta prima di tutto a conoscere a fondo la materia per avvicinare tutte le varie situazioni, averne cura e accompagnarli nel modo più adeguato, senza mai far mancare alle famiglie in questa situazione il sostegno della Chiesa e la benedizione del Signore. don Marco Belladelli.
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