Cattedrale di Ruteng, isola di Flores, Indonesia, Domenica 11/11/2012 |
LA
CHIESA in INDONESIA
Ero molto curioso di conoscere la realtà
della Chiesa in Indonesia. Ho sempre sentito parlare di quel Paese come il più
mussulmano del mondo. Invece mi sono trovato davanti una Chiesa di oltre 30
milioni di persone, guidata da 35 Vescovi, coadiuvati da quasi tremila
sacerdoti, nella stragrande maggioranza indigeni.
Il primo approccio con la Comunità
cristiana del sud est asiatico è stato però a Singapore. Una vera e propria sorpresa.
In una città post moderna, tutta grattacieli e metropolitane, uno dei centri
commerciali più importanti del mondo, mi sarei aspettato segni di
secolarizzazione molto più pesanti di quelli che tocchiamo con mano in Europa.
Invece, arrivato alla chiesa della parrocchia della Novena, uno dei quartieri
della città, ancor prima dell’inizio della S. Messa vi erano già molte persone
raccolte in preghiera in religioso silenzio. I nuovi venuti, che man mano si
aggiungevano, avevano grande attenzione a non disturbare il raccoglimento di
chi li aveva preceduti. Non è sempre così nelle nostre chiese parrocchiali dove
spesso, se si è più di uno, già senti bisbigliare, se non addirittura parlare
ad alta voce, come se si fosse in piazza. Guardandomi attorno mi sono poi
accorto che, pur essendo un giorno feriale qualsiasi e non la vigilia di una
festa importante, ai confessionali erano in fila donne e uomini di tutte le età
che aspettavano il loro turno per il sacramento della Penitenza. Da noi in
Italia è ormai cosa rara vedere file di gente accanto ai confessionali. Qualche
minuto prima della celebrazione della S. Messa, la Chiesa si era completamente
riempita. Molti occupavano anche i banchi esterni al perimetro della chiesa. Le
pareti laterali hanno infatti ampie aperture per permettere a tutti di seguire
la celebrazione. Del resto a queste latitudini non c’è il problema del freddo e
del riscaldamento, perché le temperature non scendono mai sotto i 25/26 gradi.
Arrivati finalmente a Pontianak nel Borneo, all’aeroporto ci
accoglie molto fraternamente il Vicario
Generale dell’Arcidiocesi, mons. Chang, al quale durante il viaggio di
trasferimento in città chiedo informazioni di prima mano sulla situazione della
Chiesa. Mi dice che su una popolazione di oltre 2 milioni di abitanti, i
cattolici sono oltre il 10%. Una comunità molto viva e attiva, anche a livello
sociale e politico, tanto che ultimamente sono riusciti a far eleggere uno di
loro Presidente della regione. Arrivati in episcopio per salutare l’Arcivescovo,
S. E. Mons. Bumbun, che ci accoglie con tanta cordialità e altrettanta
semplicità, ci vengono mostrati i lavori per l’erigenda nuova cattedrale, di
cui tutti vanno orgogliosi.
In tutte le celebrazioni a cui abbiamo
partecipato erano presenti migliaia di persone, accorse da tutta la regione del
Kalimantan occidentale. Nonostante l’affluenza tanto straordinaria, tutte le
celebrazioni si sono svolte con grande ordine. Le assemblee erano servite dai
vari ministri previsti dalla liturgia, a cominciare dai chierichetti ai
lettori, dai ministri straordinari dell’Eucaristia ai cantori. Oltre ad avere
un posto riservato, tutti portavano un segno distintivo che li qualificava per
il servizio loro proprio.
Accanto alla devota partecipazione
liturgica, ho trovato un altrettanto grande impegno di carità verso i poveri e
i bisognosi. Un fervore apostolico che nasce soltanto dalla viva comunione con
il Signore Gesù, presente nei sacramenti della Chiesa. Nei giorni di permanenza
a Pontianak abbiamo visitato un istituto di assistenza di minori handicappati,
dove nonostante la modestia delle risorse economiche, abbiamo trovato tutti i
bambini, anche i più gravi, molto ben curati e assistiti da ogni punto di
vista. L’Arcidiocesi di Pontianak è proprietaria anche di un ospedale di circa
trecento posti letto, fondato da una Congregazione olandese. Oggi è uno dei più
moderni ed efficienti centri sanitari della città, attraverso il quale la
Comunità cristiana locale può testimoniare la carità del Buon Samaritano per
chi soffre e rinnovare ogni giorno l’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini di
buona volontà.
A pochi chilometri da Singkawuang, prima
missione dei Frati Cappuccini olandesi nel Borneo nei primi anni del ‘900, oggi
seconda città della Diocesi per importanza e distante circa 120 km da
Pontianak, abbiamo visitato un lebbrosario dove a tutt’oggi sono ricoverati
poco meno di una quarantina di persone tra i trenta e i settant’anni,
provenienti da tutto il Borneo. Un’altra opera di misericordia sostenuta
soltanto dalla generosa carità della gente del posto. Sono soprattutto gli
imprenditori cristiani che nel silenzio evangelico di chi non vuol far sapere
alla sinistra quello che fa la destra, si preoccupano di non far mancare il
necessario ai malti e a chi li assiste.
L’altra tappa importante della missione
in Indonesia è stata la Diocesi di Ruteng, nell’isola di Flores, nota ai più
per le fantasiose descrizioni di Salgari, che ha scelto quei luoghi esotici per
ambientare molti dei suoi racconti. Flores è l’unica isola dell’Indonesia a
maggioranza cristiana. I cattolici sono più del 90%.
Qualche giorno prima a Jakarta abbiamo
incontrato il Vescovo di Ruteng, impegnato nei lavori della Conferenza
Episcopale, che ci ha ringraziato per la nostra presenza nella sua Diocesi.
Oltre a S. Ecc. Monsignor Hubertus, a Jakarta abbiamo incontrato altri tre
Vescovi, uno proveniente dal Borneo, uno dall’isola di Sumatra e uno dalla
Papua, accompagnati dal Vicario Generale della Diocesi di Jakarta e dal
Segretario Generale della Conferenza Episcopale indonesiana. Tutti gli illustri
presuli erano molto interessati di conoscere fra Elia di persona, la sua
storia, il suo carisma e la sua missione nella Chiesa. Alcuni dei Vescovi
presenti hanno approfittato dell’opportunità di questo incontro personale per
un colloquio riservato con fra Elia, altri per invitarlo a visitare in un
prossimo futuro la loro Diocesi. Altri ancora si sono impegnati a mandare alle
competenti Autorità ecclesiastiche romane una relazione sui frutti positivi
realizzatisi nelle Comunità cristiane visitate da fra Elia durante questa sua
missione in Indonesia.
Tornando a Ruteng, questa città è
chiamata il Vaticano dell’Indonesia per l’abbondanza di vocazioni e per il
rilevante numero di congregazioni religiose presenti in Diocesi. Nonostante la
folla straripante che ha riempito al mattino la nuova cattedrale e nel
pomeriggio la vecchia cattedrale, in entrambi i casi le celebrazioni si sono
svolte con la massima cura e nella più viva partecipazione di tutti i presenti,
a cominciare dai sacerdoti che erano visibilmente emozionati per il momento che
stavano vivendo.
Un’altra realtà sorprendente
dell’Indonesia è stato l’incontro con due comunità di vita contemplativa. Prima
a Singkawuang e poi a Ruteng abbiamo
visitato due conventi femminili di clausura, tanto numerose da essere pronte a
sciamare per rivitalizzare comunità in via di estinzione qui in Europa. Un vero
miracolo dello Spirito Santo, che ci ricorda come tutti doni più importanti del
Signore vengano dalla preghiera (cfr Lc 11,9).
Oltre ad avermi profondamente edificato,
l’incontro con la Chiesa in Indonesia mi ha fatto ricordare le parole di Gesù
che ai discepoli in partenza per la missione ordinò “di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né
sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due
tuniche.” (Mc 6,8-9). Nel confronto, mi pare che noi oggi qui in occidente
siamo troppo appesantiti da retaggi storici e culturali, e inibiti da tanti
legami e ostacoli che finiscono per annacquare la testimonianza e rendere meno
credibile l’annuncio del Vangelo. Mi viene spontaneo concludere con il
ringraziamento di Gesù: “Ti rendo lode,
Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai
sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.”(Mt 11,25ss).
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