martedì 26 febbraio 2013

ANNO DELLA FEDE/2

 
Ateismo e ricerca di Dio.
Domanda: Quando ci si può dire credenti?
Risposta. Sono convinto che oggi sia più difficile professarsi ateo che credente. Il problema di fondo dell’ateo è quello di riuscire a sostenere l’inquietudine e la difficoltà di una continua ricerca di valori e di significati, alla fine della felicità anche se non esplicitamente nominata, in nome di una sua presunta  immersione più pienamente e totalmente libera nella vita, rispetto a quanto si ritiene possibile per il credente. E’ come se paradossalmente si volesse rendere sacro quel gesto di trasgressione. Non c’è peggior integralista e fondamentalista dei paladini della libertà assoluta. Sostanzialmente l’ateismo di oggi molto spesso si risolve nell’infrange un idolo per costruirsene subito un altro, comunque esso si chiami, potere, denaro, lussuria, arte, scienza, o altro.


Dice  il giovane filosofo francese, Fabrice Hadjadj, nel suo libro “La fede dei demoni. Ovvero il superamento dell’ateismo”, a proposito della ricerca degli atei: “L’ateo che cerca non è soddisfatto del proprio ateismo. Presagisce che, qualora diventasse troppo di comodo, il suo ateismo si trasformerebbe esso stesso in un feticcio domestico. … No, l’ateo che cerca e al contempo l'autentico ateo è l’ateo che “volge al termine”. Autentico perché non fa del proprio ateismo una divinità: e che “volge al termine” perché, di conseguenza, soffre per il fatto di essere ancora ateo e paventa quella chiusura che egli critica in coloro che credono. Questo paradosso può trattenerlo a lungo, alla stregua di un porcellino d'India all'interno della ruota della sua gabbietta. Occorre una grazia per tirarlo fuori.” … In fondo, soltanto colui che non cerca merita che si inveisca contro di lui. La sua intelligenza ha fame di verità, il suo cuore aspira alla beatitudine, e tuttavia - giacche egli scappa davanti all’angoscia di una morte che sembra colpire annullando ogni cosa – eccolo soccombere alle malie del virtuale, abbandonarsi ai piaceri dell’abbruttimento, senza sforzarsi di cancellare dentro di sé quella tensione così prettamente umana tra la coscienza di una morte spaventosa e il desiderio di una gioia assoluta. Sonnecchia al di qua della fede e del dubbio, della blasfemia e della lode, dell’odio e dell’amore che lo trascinano al di là. Tuttavia, è ben difficile ammettere con se stessi che non si sta più cercando.” (pp.14-15).
Spesso affermare di essere alla ricerca serve solo per eludere la vera scoperta: quella di essere cercati. Il nocciolo della questione è dunque accorgersi di essere cercati e che colui che ti cerca aspetta da te una risposta. Quando si è pronti per la risposta si può dire di essere autenticamente credenti. Ma soltanto la “grazia” può tirare fuori l’ateo e i dubbiosi dalla loro inerzia.


2 commenti:

  1. Come accorgersi che si è cercati?
    E se la Grazia non arriva?
    Basta comportarsi nella vita come se si credesse e attendere fiduciosi?

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  2. Quando la ricerca non ha la presunzione tipica dell'ateo, e cioè che in quanto ateo, forte della propria assoluta libertà, di essere l'unico ad aver accesso alla verità della vita e del mondo, ci si accorge sempre di essere cercati. Questa è anche la "Grazia" che ci previene e che attende da noi una risposta.

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