Ateismo e ricerca di Dio.
Domanda: Quando ci si può dire credenti?
Risposta. Sono convinto che oggi sia più difficile professarsi
ateo che credente. Il problema di fondo dell’ateo è quello di riuscire a
sostenere l’inquietudine e la difficoltà di una continua ricerca di valori e di
significati, alla fine della felicità anche se non esplicitamente nominata, in
nome di una sua presunta immersione più
pienamente e totalmente libera nella vita, rispetto a quanto si ritiene
possibile per il credente. E’ come se paradossalmente si volesse rendere sacro
quel gesto di trasgressione. Non c’è peggior integralista e fondamentalista dei
paladini della libertà assoluta. Sostanzialmente l’ateismo di oggi molto spesso
si risolve nell’infrange un idolo per costruirsene subito un altro, comunque
esso si chiami, potere, denaro, lussuria, arte, scienza, o altro.
Dice il
giovane filosofo francese, Fabrice Hadjadj, nel suo libro “La fede dei demoni. Ovvero il superamento dell’ateismo”, a
proposito della ricerca degli atei: “L’ateo
che cerca non è soddisfatto del proprio ateismo. Presagisce che, qualora
diventasse troppo di comodo, il suo ateismo si trasformerebbe esso stesso in un
feticcio domestico. … No, l’ateo che cerca e al contempo l'autentico ateo è l’ateo
che “volge al termine”. Autentico perché non fa del proprio ateismo una
divinità: e che “volge al termine” perché, di conseguenza, soffre per il fatto
di essere ancora ateo e paventa quella chiusura che egli critica in coloro che
credono. Questo paradosso può trattenerlo a lungo, alla stregua di un
porcellino d'India all'interno della ruota della sua gabbietta. Occorre una
grazia per tirarlo fuori.” … “In fondo, soltanto colui che non cerca
merita che si inveisca contro di lui. La sua intelligenza ha fame di verità, il
suo cuore aspira alla beatitudine, e tuttavia - giacche egli scappa davanti
all’angoscia di una morte che sembra colpire annullando ogni cosa – eccolo
soccombere alle malie del virtuale, abbandonarsi ai piaceri dell’abbruttimento,
senza sforzarsi di cancellare dentro di sé quella tensione così prettamente
umana tra la coscienza di una morte spaventosa e il desiderio di una gioia
assoluta. Sonnecchia al di qua della fede e del dubbio, della blasfemia e della
lode, dell’odio e dell’amore che lo trascinano al di là. Tuttavia, è ben
difficile ammettere con se stessi che non si sta più cercando.” (pp.14-15).
Spesso affermare di essere alla ricerca
serve solo per eludere la vera scoperta: quella di essere cercati. Il nocciolo
della questione è dunque accorgersi di essere cercati e che colui che ti cerca
aspetta da te una risposta. Quando si è pronti per la risposta si può dire di
essere autenticamente credenti. Ma soltanto la “grazia” può tirare fuori l’ateo e i dubbiosi dalla loro inerzia.
Come accorgersi che si è cercati?
RispondiEliminaE se la Grazia non arriva?
Basta comportarsi nella vita come se si credesse e attendere fiduciosi?
Quando la ricerca non ha la presunzione tipica dell'ateo, e cioè che in quanto ateo, forte della propria assoluta libertà, di essere l'unico ad aver accesso alla verità della vita e del mondo, ci si accorge sempre di essere cercati. Questa è anche la "Grazia" che ci previene e che attende da noi una risposta.
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