lunedì 18 febbraio 2013

LA VOCE DI MANTOVA/82


Quei fulmini su San Pietro
Le inattese dimissioni di Benedetto XVI hanno turbato non soltanto i fedeli, ma anche molte persone religiosamente tiepide, indifferenti e a lui non favorevoli per pregiudizio ideologico, come per esempio alcuni omosessuali militanti, che in questi anni lo hanno sempre visto come un loro nemico e spesso dileggiato e fatto oggetto di offese. Il Papa non è un’autorità tra le
altre, o semplicemente un’alta autorità morale come comunemente si usa dire. E’ il dolce Cristo in terra, come lo chiamava S. Caterina da Siena. E’ il vertice dell’incarnazione, il contrappeso a qualsiasi ideologia. Ci si raccoglie attorno a lui, non soltanto per la dottrina (credere ciò che crede Pietro), ma per riconoscere la voce di Cristo e il suo amore (“Simone, mi ami tu? Pasci i miei agnelli”. Gv 21,16). In questi giorni molti hanno interpretato la sua rinuncia al ministero petrino come una cosa che rientra nella normalità di una persona anziana che non ce la fa più. Più irritante invece, e a parer mio del tutto fuori luogo, la voce di tanti laici che, forti della loro quasi assoluta occupazione mediatica, hanno esultato per la fine dell’ultimo retaggio di medioevo arrivato fino a noi, inneggiando al trionfo della modernità. Proprio quelli che in questi otto anni hanno sempre combattuto Papa Ratzinger, a cominciare da quel suo atto d’accusa contro il relativismo imperante dell’aprile 2005, oggi lo esaltano, interpretando il suo ritiro come una capitolazione a quella logica a cui si era opposto. Per fortuna, nella lectio magistralis sul Concilio tenuta ai preti di Roma il 14/02 u.s., è stato ancora una volta Benedetto XVI in persona a denunciare questa costitutiva incapacità dei media a capire la Chiesa, per quel vizio innato di buttare ad ogni costo tutto in politica. Di fronte poi all’euforia di chi si esalta per il momento storico che stiamo vivendo, personalmente avrei preferito che non si fosse mai realizzata una tale situazione. Del resto, anche Benedetto XVI nell’udienza di Mercoledì 13/02 ha definito “grave” questa sua decisione. Come a dire che se appena avesse intravisto una qualsiasi altra via di uscita, l’avrebbe seguita. Per questo il gesto di Benedetto XVI è perfettamente in linea con la sua forte personalità di uomo coraggioso, franco e privo di timori reverenziali verso chicchessia, come lo abbiamo ben conosciuto in questi anni, soprattutto nei momenti di difficoltà che hanno segnato il suo pontificato. Un atteggiamento tanto fermo che per molti ha rappresentato un fondamento di speranza, altri invece ne sono stati molto infastiditi, come più volte ho messo in evidenza su queste colonne. In questi ultimi mesi Benedetto XVI ha spesso ribadito che il futuro è nelle mani di Dio (03/01/2013) e che la Chiesa è di Dio, per questo il suo volto non va deturpato da divisioni e lotte intestine (cfr. omelia del 13/02/2013). Questi ammonimenti sembrano avere il tratto distintivo di un testamento, come se con il gesto delle sue dimissioni Benedetto XVI abbia voluto rimettere Dio e la sua misteriosa e potente azione di salvezza al centro della vita della Chiesa e del mondo, così che tutti possano vederla, come abbiamo visto quei fulmini scaricarsi sulla cupola di san Pietro. Riguardo poi a come vestirà e come lo chiameremo dopo le 20 del 28/02, mi è venuta in mente l’immagine di quel Vescovo vestito di bianco di cui parlava una bambina tanti anni fa. Che c’entri qualcosa, o è soltanto una favola?  Marco Belladelli.
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pubblicato su LA VOCE DI MANTOVA  il 19/02/2013.

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