XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, “B”.
Il Figlio dell'uomo riunirà i suoi eletti dai quattro venti.
Disse Gesù ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore e gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.
Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre». Parola del Signore.
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Nel brano di
oggi vengono esplicitati i temi tipici di questo tempo liturgico, cioè quelli
della fine del mondo, del ritorno del Signore Gesù e del giudizio finale. E’
parte del discorso escatologico riportato da Marco al capitolo 13. Come ho più
volte ricordato, siamo a Gerusalemme e Gesù ha superato la prova dello scontro
dialettico con i suoi oppositori, i quali di conseguenza hanno deciso di
ucciderlo. Consapevole di tutto, Gesù prima di affrontare la passione,
provocato da alcune domande dei suoi discepoli, parla delle cose che dovranno
accadere nel futuro. Il brano liturgico odierno, che inizia con le immagini
apocalittiche dello sconvolgimento cosmico, prese in prestito dai profeti, si
riferisce alla parte riguardan te i
temi che abbiamo già elencato sopra. Prima di questi eventi ci sarà la “tribolazione” dell’abominio
della desolazione, cioè una specie di apostasia generale, causa di grandi
sofferenze per tutta l’umanità. Gesù poi ricorre ad una parabola per invitarci
a riconoscere i segni dei tempi: come il fico annuncia la prossimità
dell’estate, così quando accadranno le cose di cui Gesù sta parlando in tutto
il capitolo, vorrà dire che la storia umana è arrivata anch’essa alla sua
maturazione, ha raggiunto il suo traguardo, e che il Figlio dell’uomo “è
vicino, alle porte”. “Figlio dell'uomo” è un titolo messianico usato
soprattutto dal profeta Daniele. Dopo la deportazione a Babilonia e il
fallimento della dinastia davidica, il messianismo ebraico evolve in senso
escatologico. Come Messia si attende il Figlio dell’uomo,una figura che
si sarebbe manifestata alla fine della storia che avrebbe reso ragione in modo
manifesto e definitivo delle promesse fatte da Dio a Israele.
Prendiamo ora
in considerazione i significati della situazione escatologica del mondo.
1. Per i
discepoli del regno la storia è lotta e tribolazione, spesso incontreranno
sofferenze e persecuzioni, tanto da sembrare sempre sul punto di soccombere.
2. La venuta del
Figlio dell’uomo segnerà la fine di questa situazione, la manifestazione di
Gesù come Salvatore dell’umanità e il riconoscimento universale della sua
Signoria.
3. La riunione
universale degli eletti, cioè il giudizio finale di Dio sulla storia umana,
evidenzia che l’unica realtà che veramente merita di essere salvata è l’uomo
creato da Dio e tutto quanto è in relazione con la sua salvezza.
Spesso
abbiamo parlato delle difficoltà che il discepolo del regno incontra nella
storia. Per ciascuno di noi la fine del mondo corrisponde immediatamente con la
nostra morte. Essa è qui presentata come la fine delle tribolazioni, l’incontro
con il Figlio dell’uomo e la trasformazione della nostra condizione umana ad
immagine e somiglianza di quella propria del Signore. Oltre alla nostra fine
personale è prevista anche una fine di tutto, cioè la totale consumazione del
presente umano/storico, a cui seguirà il giudizio universale, descritto da
Marco come la riunione dei “suoi eletti”, che per la
fedeltà dimostrata saranno liberati dalla tribolazione e resi partecipi
della beatitudine promessa. Sono aspetti della nostra fede che sembrano tanto
lontani dalla nostra quotidianità, invece rappresentano il fondamento della
nostra esperienza cristiana. Il venire meno della Speranza nelle cose future,
che si realizzeranno dopo la nostra morte, significa diventare schiavi del
presente, delle sue ambiguità, delle sue contraddizioni e soprattutto del suo
limite.
Oggi si
conclude anche il nostro cammino insieme a San Marco. Abbiamo cominciato con la
testimonianza del Battista, che annunciava la venuta di “uno che è più forte” di lui, e
terminiamo con l’immagine sfolgorante del Figlio dell’uomo che verrà “sulle
nubi con grande potenza e gloria” per riunire i suoi eletti da un
capo all’altro dell’universo. In mezzo ci sta tutto il “vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio”, le cui “parole
non passeranno”, parole pronunciate proprio per garantire all’uomo il suo destino
di unico essere vivente creato per l’eternità, come ci ricordava il cardinal
Ratzinger nell’omelia di apertura del conclave del 2005: “L’unica
cosa, che rimane in eterno, è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per
l’eternità.”. Il racconto evangelico di san Marco si presenta come una lotta infinita per
affermare la grazia della salvezza. Le forze ostili sembrano non essere mai
sconfitte definitivamente, anzi a volte paiono addirittura riuscire a
prevalere, tanto che anche i racconti di Pasqua si risolvono più nel timore
delle donne e dei discepoli, che nella gioia della risurrezione. Ma
contrariamente a ciò che appare, il seme che il Figlio dell’uomo ha gettato
nella terra “dorma
o vegli, di notte o di giorno, germoglia e cresce.” (cfr 4,27)
in un modo a noi del tutto sconosciuto. Preghiamo perché questa parabola
rappresenti la nostra esperienza di fede. Buona
Domenica!
DON MARCO
BELLADELLI.
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