Crocifisso in cartapesta sec. XVI (?), chiesa di S. Maria Assunta in Malamocco (VE). |
III Domenica di Quaresima “C”
Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
Dal Vangelo secondo Luca (13,1-9).
In quel tempo si
presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue
Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la
parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di
tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi
convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle
quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli
di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite,
perirete tutti allo stesso modo».
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Lungo i secoli la Quaresima si è trasformata da itinerario di iniziazione dei catecumeni, cioè gli adulti che si preparavano a ricevere il battesimo la notte di Pasqua, a tempo di penitenza e di rinnovamento spirituale di tutti i battezzati. In un contesto culturale pluralistico, multi etnico e multi religioso quale quello dei nostri giorni, la Quaresima ha perso quella rilevanza sociale che aveva fino ai primi anni sessanta, quando per sintonia con il clima penitenziale del periodo si chiudevano cinema, balere e altri luoghi di divertimento. Oggi è difficile coglierne la dimensione spirituale e religiosa anche per i cosiddetti praticanti, coloro che abitualmente frequentano la S. Messa domenicale.
Mentre cresce l’ attenzione dei media per i riti e le celebrazioni di altre religioni, come per esempio il ramadan islamico, va sempre più aumentando l’indifferenza e l’ignoranza per tutto quello che è cristiano. Forse perché, come dice il proverbio, l’erba del vicino è sempre più verde della nostra? Magari fosse soltanto il segno di una sana curiosità. Il vero problema è capire cosa sia autenticamente “cristiano” e vivere di conseguenza. Per questo oggi Gesù ci ammonisce severamente: “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
Prendendo spunto da due fatti di cronaca, Gesù confuta il luogo comune secondo cui chi è vittima di tragici eventi, fino a trovarvi la morte, paga per le proprie colpe. Esempi che oggi ci fanno pensare alle vittime delle guerra, del terrorismo, di catastrofi naturali, di incidenti stradali o sul lavoro, ma anche a chi è colpito da malattie a cui non c’è rimedio e via dicendo. Il giudizio ultimo e definitivo sulla nostra vita è soltanto di Dio e, come dice la Scrittura, per Dio “non conta quel che vede l'uomo” (1Sam 16,7).
Secondo Gesù il vero problema non è quello di morire presto o tardi, o la tragicità della nostra morte, ma il desiderio di Dio e la possibilità di incontrarlo attraverso un autentico cammino di conversione, come ci chiede oggi nel Vangelo. La conversione non consiste in un semplice aggiustamento di comportamenti più o meno scorretti, ma nel maturare un atteggiamento profondamente radicato per il quale Dio diventa l’interlocutore primo e fondamentale della nostra vita, in ogni momento e situazione. Un cambiamento innescato dall’incontro con Gesù, vivo e presente in mezzo a noi. Un cambiamento simile a quello che hanno avuto tanti personaggi evangelici, primi fra tutti San Pietro e gli Apostoli, il pubblicano Zaccheo e tanti altri, e che esige di mettersi continuamente in discussione e di vivere costantemente nella tensione verso la perfezione del Padre celeste (cfr. Mt 5,48), evitando di adagiarsi sulla presunzione di essere già a posto.
Oggi la liturgia ci mostra due esempi biblici di conversione, uno positivo e l’altro negativo. Nella prima lettura (Esodo cap. 3) si parla di Mosè completamente afferrato da Dio nell’esperienza del roveto ardente, al punto di non poter dir di no, né tanto meno sottrarsi alla missione a cui lo ha destinato, nonostante tutte le difficoltà presentate. Nella seconda lettura (1Cor 10,1ss) l’apostolo Paolo analizza invece l’esperienza del popolo d’Israele, che nonostante tutti i segni ricevuti: la liberazione dalla schiavitù egiziana, la nube che li ha protetti lungo il cammino, il mare che si è aperto davanti a loro, il cibo dal cielo e l’acqua dalla roccia nel deserto e tanti altri segni, continuò a mormorare contro Dio.
Dio nella sua pazienza, descritta con la parabola del fico infruttuoso, attende che abbiamo il coraggio della vera conversione. Gesù è il vignaiolo che si prende cura di noi, fiducioso di poter trarre frutti anche da un albero sterile. Non si stanca di ‘coltivarci’ e di prestarci attenzione in tutti i modi fin quando cederemo alla potenza della sua misericordia.
Mi piace ricordare l’esperienza straordinaria di un uomo ai più sconosciuto: Eugenio Zolli, Rabbino capo della sinagoga di Roma dal 1939 al 1944, che nel Febbraio 1945 ricevette il Battesimo. Nella sua autobiografia (Prima dell’alba, ed S. Paolo, MI 2004) definisce la conversione come “una ricerca d’un sentiero più confacente al tormento dell’anima propria … La conversione è luce rinnovata, è rinnovato amore di Dio. Il convertito è un uomo morto e risorto. L’uomo in genere conosce il Creatore attraverso il Creato, Iddio attraverso la potenza delle opere Sue.” (pp.117-118).
Continuiamo il nostro cammino quaresimale e che sia di ‘vera conversione’, altrimenti, come dice Gesù: “perirete tutti allo stesso modo,” vale a dire: che ci sei stato a fare per tutto questo tempo al mondo? Buona Quaresima!
don Marco Belladelli.
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