Sr. Maria Grazia Uka, Icona di Gesù 'Ecce Homo' |
XXV Domenica del Tempo Ordinario, “B”.
Il
Figlio dell'uomo sta per esser consegnato...
Se
uno vuol essere il primo, sia servo di tutti.
Dal Vangelo secondo Marco (9, 30-37)
In quel tempo, Gesù e i discepoli attraversavano la Galilea, ma
egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e
diceva loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli
uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni,
risusciterà».
Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli
spiegazioni. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese
loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano.
Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.
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Dopo
lo sconfinamento a Cesarea di Filippo (sito archeologico per la presenza di un
tempio al dio Pan noto come Baniyas, posto ai piedi del monte Hermon, dove si
trova una delle sorgenti del Giordano, oggi territorio siriano occupato
dall’esercito israeliano), Gesù è tornato in Palestina. Ora si trova in
Galilea, dalle parti di Cafarnao, ma in incognito. Di fatto, secondo la
narrazione di Marco, d’ora in poi non comparirà più in pubblico e lasciare
definitivamente la Galilea per la Giudea.
Vista
la mala parata di Pietro che prima riconosce Gesù come Messia e subito dopo
cerca di dissuaderlo dall’accettare la sofferenza della passione, in questo
momento la priorità è la formazione dei discepoli. Gesù torna a parlare loro
della sua prossima fine, ripetendo che il Figlio dell’uomo “sta
per esser consegnato nelle mani degli uomini”. Non si tratta della
riformulazione di un già detto, ma di un approfondimento. Usando i verbi al
passivo, secondo il linguaggio biblico, Gesù indica che il soggetto di quello
che accadrà è Dio stesso. Gli eventi che
determineranno la sua morte non sono quindi il risultato contingente dell’intreccio
di volontà umane, ma è il Padre stesso che tira le fila di tutto. Insomma abbiamo
a che fare con un vero e proprio intervento di Dio, cioè con un evento
salvifico. Gesù fa parte della lunga serie di ‘giusti’ perseguitati per la loro
fedeltà a Dio, a cui Dio stesso darà la sua risposta definitiva. La passione,
la morte e la risurrezione, per la loro assurdità e drammaticità, sono eventi
difficili da comprendere dal punto di vista umano. Lo sono ancor di più quando
ci viene detto che è Dio stesso a volerli. Il Figlio dell’uomo, pienamente obbediente, accetta questa volontà.
Davanti
al mistero della sofferenza i discepoli invece si chiudono totalmente nella loro
paura, tanto addirittura di vergognarsi a chiedere la benché minima
spiegazione: come è possibile che Dio voglia la morte violenta di suo Figlio? La
distanza dal Maestro è ancora più evidente quando veniamo a sapere che, mentre
Gesù parlava loro della sua passione, essi invece erano intenti a discutere su
chi fosse tra loro il più grande: “Per la via infatti avevano discusso tra loro
chi fosse il più grande.”. Un episodio che concretamente ci rappresenta
la separazione che spesse volte sperimentiamo nel nostro rapporto con Dio.
La
pazienza di Gesù verso i discepoli è la stessa che Dio usa nei nostri confronti
tutte le volte che ci contrapponiamo alla sua volontà con durezza di cuore e
grettezza di spirito. Per nostra fortuna Dio, come Gesù, non si arrende. Con
pazienza Gesù riprende il suo discorso, siede davanti agli Apostoli per ricordare
loro come nel regno di Dio valga la legge della croce e dell’umiltà per la
quale il più grande è colui che si fa “il servo di tutti”, secondo il suo
esempio. E per non essere frainteso mostra loro un esempio concreto e
inequivocabile, prende con grande tenerezza un bambino, lo mette davanti a
tutti, indicando nel gesto dell’accoglienza di un bambino la via a quell’umiltà
necessaria per accogliere in noi Dio stesso, il suo regno e, più in generale,
la sua opera di salvezza.
A
quel tempo i bambini erano privi di diritti
e di considerazione, non erano al centro dell’attenzione degli adulti,
come lo sono oggi, coccolati, vezzeggiati e giustamente tutelati e garantiti nelle
loro necessità e diritti a salvaguardia della loro fragilità costitutiva. Aldilà
delle mutate condizioni socio-culturali, la forza dei bambini consiste nel
suscitare in noi adulti la tenerezza, sentimento che ci dispone quasi
naturalmente alla piena disponibilità e massima generosità nei confronti dell’altro.
Se fossimo sempre animati da tenerezza gli uni verso gli altri, come lo siamo
nei confronti dei bambini, il mondo sarebbe il paradiso terrestre. La tenerezza
è la premessa per la misericordia, sentimento di origine divina, per il quale “Dio infatti ha tanto
amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non
vada perduto, ma abbia la vita eterna.” (Gv 3,16). Nell’esempio portato da
Gesù, la catena dell’accoglienza infatti ha come termine Dio stesso: “ … accoglie … colui che mi ha mandato”.
Attraverso l’insegnamento del farsi servo di tutti e l’esempio dell’accoglienza
dei bambini, Gesù ci indica la strada per superare tutte le resistenze che
nonostante la fede ci impediscono di aderire a Dio in tutto e per tutto. Non si
tratta soltanto di una questione di umiltà, ma di qualcosa di molto profondo e
radicale come il nuovo comandamento: “Come
io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.” (Gv 13,34), che
ci rende capaci di accettare il mistero della sofferenza, offerta per amore e per
la salvezza del mondo. Santa Teresa del Bambin Gesù, nella sua spiritualità definita
dai teologi “infanzia spirituale
dell’anima”, è l’esempio straordinario di cosa significa farsi “servo di tutti” e accogliere chiunque
come accoglieremmo Dio in persona. Buona Domenica!
don
Marco Belladelli.
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