“Sono stata cresciuta nell’amore. Un amore che ho ricevuto senza chiedere, senza aspettare. A cominciare dal latte di mia madre. Una creatura aveva iniziato a vivere in me, attraverso di me. Non mi feci tante domande. Fu straordinario, ma semplice e naturale” Con queste parole inizia il film di Guido Chiesa, Io sono con te, presentato il mese scorso al Festival del cinema di Roma con il sottotitolo: “Storia della ragazza che ha cambiato il mondo”. E sullo schermo si vede una anziana donna mediorientale d’altri tempi che, dentro a una grotta, racconta la sua storia a un non ben identificato interlocutore (l’evangelista Luca ?). Poi il film apre sulla più bella storia del mondo, quella di Maria e di Gesù.
La trama interpreta liberamente il racconto del cosiddetto Vangelo dell’Infanzia di san Luca ai capitoli 1 e 2, integrati con san Matteo per la visita dei Re Magi e con elementi tratti dai vangeli apocrifi per il san Giuseppe vedovo, con figli. Dell’annunciazione, rappresentata nelle primissime scene del film, quasi non ci si accorge. La visita a santa Elisabetta diventa una provocazione alla disobbedienza contro la legge della circoncisione. Alla nascita di Gesù non si accompagnano eventi straordinari, né in cielo, né in terra. A mala pena c’è posto per Giuseppe. I Re Magi poi, più che dei sapienti orientali come siamo abituati a considerarli, sembrano un comitato per l’assegnazione di borse di studio, alla ricerca del bimbo prodigio di turno. Così pure il Gesù preadolescente che si smarrisce tra i dottori nel tempio, assomiglia più a un capriccioso e presuntuoso saputello, e non al Figlio di Dio, che per la prima volta prende coscienza della sua futura missione. L’aver volutamente escluso ogni possibile riferimento al divino e al soprannaturale a favore di un umano, a volte un po’ troppo umano, tanto apprezzato dalla critica, personalmente, forse per deformazione professionale, l’ho trovato invece goffo e in alcuni particolari anche un po’ ridicolo.
La trama interpreta liberamente il racconto del cosiddetto Vangelo dell’Infanzia di san Luca ai capitoli 1 e 2, integrati con san Matteo per la visita dei Re Magi e con elementi tratti dai vangeli apocrifi per il san Giuseppe vedovo, con figli. Dell’annunciazione, rappresentata nelle primissime scene del film, quasi non ci si accorge. La visita a santa Elisabetta diventa una provocazione alla disobbedienza contro la legge della circoncisione. Alla nascita di Gesù non si accompagnano eventi straordinari, né in cielo, né in terra. A mala pena c’è posto per Giuseppe. I Re Magi poi, più che dei sapienti orientali come siamo abituati a considerarli, sembrano un comitato per l’assegnazione di borse di studio, alla ricerca del bimbo prodigio di turno. Così pure il Gesù preadolescente che si smarrisce tra i dottori nel tempio, assomiglia più a un capriccioso e presuntuoso saputello, e non al Figlio di Dio, che per la prima volta prende coscienza della sua futura missione. L’aver volutamente escluso ogni possibile riferimento al divino e al soprannaturale a favore di un umano, a volte un po’ troppo umano, tanto apprezzato dalla critica, personalmente, forse per deformazione professionale, l’ho trovato invece goffo e in alcuni particolari anche un po’ ridicolo.
Nonostante tutto, anche per la forza intrinseca ai fatti narrati, il film non perde il suo orientamento a quell’Amore liberante, di cui si parla all’inizio, come a un dono che ha invaso la vita di Maria da quando è nata e ancor più dal momento in cui è rimasta misteriosamente incita del Figlio di Dio. Dall’inizio alla fine, la narrazione rimane impregnata di quel qualcosa di semplice e di naturale che, secondo quanto hanno dichiarato la moglie del regista, Nicoletta Micheli, e lo stesso Guido Chiesa, un bel giorno del 2005 ha sorpreso entrambi con tutta la sua forza sconvolgente, e cioè l’incontro con l’Amore di Maria, nella sua pienezza di amore umano e insieme divino.
Il film chiude ancora con la figura di Maria anziana che, di fronte alle perplessità di san Luca di includere nel racconto del Vangelo anche gli episodi dell’infanzia di Gesù, risponde: “Per comprendere una vita, bisogna conoscere l'inizio”. Insieme con le frasi iniziali, mi pare che queste parole rappresentino le vere chiave interpretative del film. Come ha scritto il regista nel suo sito: “Solo un corpo che ha conosciuto amore nei momenti decisivi della sua crescita è libero. E solo chi è libero può dare amore incondizionato”. Insomma, un modo originale e bello per dire che il mistero di Dio fatto uomo è ancora oggi la fonte di quell’Amore libero, di cui abbiamo assoluto bisogno, come dell’aria che respiriamo. Buon Natale 2010.
Don Marco Belladelli
Nessun commento:
Posta un commento