Bonifacio Veronese, La parabola del ricco epulone, 1535, Galleria dell'Accademia - Venezia. |
XXVI
del tempo Ordinario “C”
Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro
i suoi mali;
ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai
tormenti.
Dal vangelo secondo
Luca (16,19-31)In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”». Parola del Signore.
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Con la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro Luca torna ancora sul tema della ricchezza e lo sviluppa fino alle estreme conseguenze, dimostrandoci concretamente perché non si possono servire due padroni, o Dio, o i soldi. L’avidità per le ricchezze è stata la rovina del figliol prodigo e anche dell’arido fratello. L’amministratore disonesto, per la sua avidità, ha rischiato di trovarsi sul lastrico, abbandonato da tutti, senza nessuno che lo accolga. Oggi ci vengono illustrati i guai derivanti dall’abbondanza, dall’opulenza, una concentrazione su se stessi tale da non accorgersi del povero Lazzaro e ancor meno di Dio. L’opulenza è la ricchezza sfacciata. Vi ricordate di zio Paperone che nuota nell’oro e piange miseria? Una cosa del genere. Per restare nella realtà, è la differenza che esiste tra l’occidente economico, il 20% dell’umanità, e tutti gli altri Paesi, l’altro 80%, che abitualmente indichiamo come “terzo o quarto mondo”, nei quali invece c’è abbondanza di sottosviluppo e miseria di ogni genere. Qualche anno fa visitando il Borneo indonesiano, oggi Kalimanta, per indicare il livello economico raggiunto da quella popolazione il sacerdote che mi accompagnava mi disse: “Qui nessuno muore di fame”.
La ragione ultima del pericolo della ricchezza non è dato dalla misura sproporzionata dei beni posseduti, quanto dalla durezza di cuore che ne deriva. La ricchezza può innescare un senso di auto-sufficienza, a volte di onnipotenza, molto deleterio. Recita il salmo: “Lo stolto pensa Dio non c’è”.(Sal 14,1). I farisei infatti ridevano di Gesù: “I farisei che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui”. E Gesù rispose loro: “Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole.” (Lc 16,14-15). Misurare tutto unicamente con criteri economici secondo una mentalità materialista significa collocarsi esattamente all’opposto del modo di pensare di Dio.
Il racconto è una risposta a questo contrapposizione, da cui deriva la più assoluta indifferenza di fronte alla impressionante miseria in cui vivono tanti uomini. Una durezza di cuore che non viene scalfita né dalla voce di Dio che ci parla nella coscienza, né tanto meno dalla divina Parola di suo Figlio, Gesù. Il non vedere i poveri equivale a non vedere Dio e al vivere come se Dio non esistesse. Allora vuol dire che si è prossimi all’inferno! Sì, perché soltanto nell’altra vita ci si renderà conto della realtà, quando vedremo tutti i Lazzaro del mondo, in cui nome significa Dio lo aiuta, nella beatitudine del Paradiso, e i ricchi senza nome irrimediabilmente perduti. Buona Domenica!
don
Marco Belladelli.
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