giovedì 12 giugno 2014

Il Vangelo della salute del 15/06/2014

Pier Paolo Rubens Santissima Trinità
Solennità della SS. Trinità “A”
Dio ha mandato il Figlio suo perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
Dal Vangelo secondo Giovanni, ( 3, 16-18).
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». Parola del Signore.
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Dopo aver celebrato gli eventi fondamentali della vita di Gesù, l’incarnazione, la morte e risurrezione e il dono dello Spirito Santo, la Chiesa ci invita a contemplare il mistero principale della nostra fede: l’unità e la trinità di Dio. Mistero naturalmente non nel senso di cosa oscura e astrusa, ma di realtà a noi superiore perché ci coinvolge al tal punto da esserne “compresi”, contrariamente a quanto avviene per ogni altro processo conoscitivo, dove qualsiasi altro oggetto è da noi “compreso”. In questo percorso infatti è la fede a guidare la ragione, perché la riflessione insegue l’esperienza dell’incontro, del rapporto e della comunione con Dio. Per non smarrirci in elucubrazioni che rischiano di portarci fuori strada, partiamo dal brano evangelico che oggi la liturgia ci propone.
Siamo al terzo capitolo di Giovanni, dove nella prima parte si racconta l’incontro notturno di Gesù con Nicodemo, un fariseo membro del Sinedrio, il quale manifesta al Maestro la sua stima personale e le perplessità sul suo messaggio. Gesù risponde che tutto ciò che riguarda il regno di Dio viene dall’alto, viene dallo Spirito ed è opera di Dio (Gv3,3.5). Lo può comprendere soltanto chi è disposto a rinascere “dall’alto” (Gv 3,7). Segue l’esempio di Mosè che innalzò il serpente nel deserto, figura della prossima crocifissione di Gesù, per mezzo della quale chi crede avrà la vita eterna.
Arriviamo così al nostro brano composto di tre affermazioni. Nella prima Gesù rivela il piano di salvezza di Dio, che “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16) perché chi crede non vada perduto, ma abbia la vita eterna.  Secondo la figura letteraria tipicamente semitica del parallelismo sinonimico, segue la riformulazione dello stesso concetto al negativo. Nella terza affermazione si traggono le conseguenze di questo modo di essere e di agire di Dio, e cioè: condanna e salvezza non sono conseguenze della discrezionalità divina, ma dipendono dal rifiuto o dalla fede “nell’unigenito Figlio di Dio”.
Ciò che a noi principalmente interessa è la rivelazione di Dio come amore infinito, fino a dare il suo Figlio unigenito: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Il Dio che “ha tanto amato il mondo” trova la sua corrispondenza nel Figlio unigenito che per amore del Padre si è reso disponibile a farsi uomo fino alla morte di croce (cfr Fil 2,6-8), perché chi crede abbia la vita eterna. L’atto di amore con cui il Padre offre “il Figlio unigenito” è in relazione con il “bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo” come Mosè aveva innalzato il serpente nel deserto, che lo precede. Questo significa che in Gesù crocifisso abbiamo la rivelazione di Dio che è ‘Amore’.
Amore  traduce il termine greco “agape”, il cui contenuto non si risolve nell’affetto o nell’amicizia e tantomeno nell’eros. L’agape consiste nel dono totale di sé all’altro, senza nessuna contropartita, di nessun genere. Come ha detto bene Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est, l’agape è amore che “cerca il bene dell'amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.”(n. 6).
Siamo davanti ad una realtà  umanamente inimmaginabile ed assolutamente sorprendente  in cui si sostanzia e si riassume l’essenza stessa di Dio, il mistero a cui ho fatto riferimento all’inizio di questa mia riflessione a proposito dell’unità della natura e della trinità delle persone. E’ ancora Benedetto XVI a ricordarci quanto scriveva S. Agostino: “Se vedi la carità, vedi la Trinità”.
E’ la novità cristiana che ha cambiato la storia del mondo. La vita cristiana è sostanzialmente partecipazione al mistero del Dio-Amore. La Chiesa e soprattutto il sacramento dell’Eucaristia sono i luoghi nei quali fare l’esperienza di questo mistero. Di conseguenza ogni cristiano dovrebbe fare della propria vita un dono d’amore nel quale si compie per grazia il disegno salvifico di Dio. Questo è il senso della vita e la via per la sua realizzazione, o per dirla in modo psicologico per raggiungere la felicità.
Oggi viviamo in un mondo in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dalla coscienza e dall’esistenza umana. Papa Francesco, il giorno successivo alla sua elezione, ai Cardinali presenti in conclave disse: “Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio.” E subito dopo aggiunse:  Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore.”. Chi appartiene al mondo fa di tutto per impedire l’esperienza del mistero di Dio. Questo è il nostro grande problema di oggi: o riusciamo ancora a rendere accessibile a chiunque questo mistero, oppure per noi è la fine: “chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.
Buona festa della Ss. Trinità!
don Marco Belladelli.

 

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