venerdì 27 luglio 2012

LA VOCE DI MANTOVA/79


Europa, Europa!

Sono lontani i tempi dei grandi entusiasmi per l’Europa, quando si passava il sabato sera in compagnia di Elisabetta Gardini e di Fabrizio Frizzi in attesa che ti squillasse il telefono di casa per rispondere: “Europa, Europa!”, e se eri fortunato potevi anche vincere qualche milione. Da quella trasmissione, andata
in onda per tre anni di seguito, dall’1988 al 1990, e messa in piedi per sensibilizzare gli italiani a un futuro europeo tutto rose e viole, sono passati più di vent’anni. Mentre noi si rideva e si scherzava, come se l’Europa fosse la panacea a tutti  nostri mali, c’era qualcuno che stava progettando quel bel pasticcio in cui oggi ci troviamo. Allora si andava in giro a dire con orgoglio che noi italiani eravamo la nazione più europeista di tutto il continente, come se quel vanto in sede di trattative per la erigenda Unione Europea potesse rappresentare anche un vantaggio, per ottenere condizioni più favorevoli rispetto agli altri popoli. Erano gli anni in cui si stava preparando il famoso trattato di Maastricht, sottoscritto nel Febbraio 1992 e entrato in vigore nel Novembre del 1993. Dopo Maastricht è venuta avanti la grande idea della moneta unica e poi addirittura si è cominciato a lavorare alla “Carta Costituzionale”, con tutti i problemi e le difficoltà che ne sono derivati. Ma ciò che più di ogni altra cosa ci ricorda l’Europa unita è l’€uro. Chissà da quanto tempo i grandi burocrati di Bruxelles stavano pensando a questa grande trovata. L’idea di andare in Francia o in Germania, senza passare in banca per cambiare la nostra lira in franchi o in marchi, ci sembrava già sufficiente per giustificare una tale rivoluzione. Chi avrebbe immaginato che dietro a quel piccolo e poco significativo vantaggio c’erano tanti altri svantaggi che oggi stiamo pagando così a caro prezzo? Non ricordo, per esempio, nessuno che ci abbia detto a chiare lettere: “Attenti che la BCE non è quello che sembra - e che noi ci saremmo aspettati - cioè un’istituzione fondamentale per l’economia di uno stato, paragonabile al ruolo svolto fino ad allora dalla Banca d’Italia”. Quando si parla di Europa si citano sempre i grandi del passato, De Gasperi, Schumann e Adenauer. Coloro che, usciti dall’ennesima, speriamo ultima, guerra fratricida tra i popoli europei, misero le basi per l’unità. Non si citano mai per nome e cognome coloro che hanno pensato e redatto il trattato di Maastricht e che hanno “inventato” la moneta unica, con tutte le contraddizioni del caso. Sorprende che in un tempo di forti esposizioni mediatiche e di esasperati esibizionismi, nessuno ci mette la faccia. Non penso che si tratti di un eccesso di modestia e/o umiltà. Se si escludono i pochi, già passati a miglior vita, la maggioranza dei protagonisti della politica di vent’anni fa, gli ultimi grandi della cosiddetta prima repubblica, tanto per intenderci, sono ancora tutti vivi e vegeti. Perché nessuno si sente chiamato in causa in prima persona dalle difficoltà del presente? Come si fa a pensare che allora nessuno si fosse accorto in quale pasticcio ci stavamo cacciando? A tutt’oggi, non ho ancora sentito nessuno dire: “Ci siamo sbagliati!”. Che cosa significa questo silenzio? Che erano ben consapevoli del danno che ci stavano procurando? Se questo fosse vero, anche solo in parte, vuol dire che siamo ormai al capolinea del nostro sistema istituzionale. Don Marco Belladelli.








Nessun commento:

Posta un commento