XXI Domenica del Tempo Ordinario, “A”.
Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli.
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Dopo il rimprovero ricevuto da Gesù stesso in persona
di due Domenica fa: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” (Mt 14,31), oggi la fede
di Pietro viene esaltata come il modello a cui deve rifarsi chiunque voglia
mettersi seriamente al seguito di Gesù, e addirittura questa sua confessione
diventa la base granitica su cui il Signore intende fondare la ‘sua Chiesa’, perché sia più forte di
qualsiasi avversità e potenza nemica che le si opponga, per una durata che ha
come orizzonte la stessa fine dei tempi. Un cambiamento, quello di Pietro, non
giustificato da “carne o sangue”,
come dice il testo evangelico, cioè da ragioni umane, ma originato da una
rivelazione diretta del “Padre mio che è
nei cieli” (Mt 16,17).
Attraverso questo episodio, comunemente noto come ‘la confessione di Cesarea di Filippo’,
l’evangelista Matteo esplicita nel suo racconto, al di là di ogni possibile
fraintendimento o equivoco, che Gesù è il Figlio di Dio nel senso proprio del
termine e cioè Dio come il Padre, e che questo atto di fede è e sarà il
fondamento della Chiesa di ogni tempo. La novità cristiana di ieri, di oggi e
di domani dipende totalmente da questa fede pasquale, la stessa che ci vede qui
riuniti a celebrare l’Eucarestia, nella certezza della viva presenza del
Signore risorto in mezzo a noi.
A Cesarea di Filippo, fuori dai confini d’Israele
nella regione della Traconitide, oggi corrispondente alle alture del Golan, la
catena montuosa che divide la Siria da Israele, in questo luogo lontano dalla
folla che, come abbiamo visto negli ultimi episodi, lo insegue dovunque senza
lasciargli tregua, Gesù interroga i discepoli prima su che cosa pensa la gente
di lui e poi rivolge la stessa domanda a loro: “Ma voi, chi dite che io
sia?”.
Nonostante la forte attrazione esercitata da Gesù
sulla folla, tanto da precederlo a sua insaputa dovunque egli si recasse (cfr.
Mt 14,13), per la maggior parte della gente non è ancora chiaro chi egli
davvero sia, tanto da confonderlo con uno dei profeti dell’antico testamento.
Ma Gesù è molto più interessato alla risposta dei
discepoli. La loro fede in lui è fondamentale per lo sviluppo della missione,
che prevede di arrivare a Gerusalemme dove dovrà affrontare la passione e la
morte, prima della risurrezione. In diverse occasioni abbiamo visto i discepoli
in difficoltà, comportarsi da persone sprovvedute e impreparate a vivere
l’evento di cui sono protagonisti insieme al Signore. Il loro modo di pensare e
di agire è quello di chi non ha ancora capito fino infondo con chi hanno a che
fare. Lo abbiamo visto quando Gesù li ha raggiunti a piedi, mentre loro erano
sulla barca in mezzo al mare di Tiberiade in tempesta e lo hanno scambiato per
un fantasma (cfr. 14,26).
Questa volta nessuna delusione, anzi Pietro risponde a
nome di tutti in modo sorprendente: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. La risposta del Principe
degli Apostoli va ben al di là delle attese di Gesù, tanto che egli stesso
reagisce replicando a Pietro con una benedizione solenne, nella forma della
beatitudine: “Beato sei tu, Simone,
figlio di Giona!”
La prima parte della risposta è certamente un passo
avanti rispetto a quanto pensava la gente.
Affermare che Gesù è “il Cristo”
equivale a dire che egli è il “Messia”,
cioè l’inviato da Dio, promesso e annunciato dai profeti, il re potente, il
figlio di Davide che salverà il popolo dall’umiliazione dell’oppressione che da
secoli subisce come castigo per i suoi peccati. Fin qui siamo dunque in linea
con il cosiddetto ‘messianismo’
israelitico, e cioè con tutte quelle riflessioni con cui gli Ebrei cercavano di
tenere vive le antiche promesse fatte ai Padri d’Israele, presenti anche nel
cantico del Magnificat, quando Maria
dice: “Ha
soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva
detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre” (Lc
1,54-55), provando anche a capire e a spiegare come si sarebbero compiute.
Ciò che invece più sorprende è la seconda parte della
risposta di Pietro, quando egli afferma: “Tu sei il Figlio del Dio
vivente”.
Come abbiamo già anticipato, si tratta di una formula in cui si riconosce la
divinità di Gesù e che sintetizza quella che sarà ed è la fede pasquale della
Chiesa di ogni tempo, a cui si sarebbe pervenuti soltanto dopo gli eventi della
risurrezione.
Per questo Gesù, dopo l’esultanza e la beatitudine
indirizzata a Pietro, svela che la fede dell’Apostolo non è semplicemente
l’espressione del suo sentire religioso, né tanto meno il risultato di una
approfondita analisi della sua esperienza vissuta accanto al Signore, ma che si
tratta di una illuminazione divina, e cioè un dono di Dio, come del resto lui
stesso aveva previsto al di là di ogni ragionevole dubbio, quando disse: “Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il
Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al
quale il Figlio vorrà rivelarlo.” (Mt 11,27).
La ragione umana è di per sé in grado di conoscere
Dio, ma non fin nella peculiarità in cui si è rivelato a noi nella persona del
Signore Gesù. Quando Pietro dice: “Tu sei il Figlio del Dio vivente”, riconosce e accoglie
tutto il mistero della persona di Gesù, e cioè la sua divinità incarnata e
sacrificata per la nostra salvezza, una presenza di Dio in mezzo a noi uomini
che non ha eguali, né mai ne avrà nella storia e nelle altre religioni.
Davanti ad una manifestazione di fede tanto
importante, Gesù rivela quello che sarà il progetto di Dio, oltre la sua
presenza terrena. A Simone, il figlio di Giona, cambia il nome in ‘Kefa’, che noi abitualmente traduciamo
con ‘Pietro’, perché in aramaico, la
lingua parlata da Gesù, il sostantivo ‘pietra’
è maschile. Un variazione che riassume quella che sarà la missione del Principe
degli Apostoli all’interno della ‘sua’
Chiesa. Pietro, con la sua fede, sarà la roccia su cui il Signore edificherà la
nuova Comunità formata da coloro che crederanno in lui. Parole che ci fanno
pensare ad un’altra immagine usata da Gesù per descrivere la ‘sua’ Chiesa, quella di “una città che sta sopra un monte” (Mt 5,14) che non può
rimanere nascosta, ma soprattutto contro cui nulla possono i suoi nemici.
Il progetto di Dio prevede anche altro per Pietro, come si capisce dalla consegna delle chiavi: “A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (16,19). Sempre in forza della sua fede, a Pietro viene conferito il potere di fare entrare gli uomini nella vita eterna, un potere che nel bene e nel male, e cioè nell’accogliere o nell’escludere, impegna l’autorità stessa di Dio. Questa è dunque la missione che la Chiesa ha compiuto, compie ancora oggi e continuerà a compiere fino alla fine del mondo, certi che nonostante tutti gli ostacoli, le difficoltà e le fragilità interne ed esterne, i suoi nemici non prevarranno contro di essa. Buona Domenica!
don Marco Belladelli
Quando sentiamo Gesù che viene riconosciuto da Pietro come figlio di Dio, dobbiamo accettare la grande verità di questo Dono. Noi fratelli di Gesù siamo figli di Dio; e questa è natura di tutti noi “miseri”esseri umani. Certo che non siamo né coscienti ma nemmeno preparati a tanta verità
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