martedì 13 novembre 2012

Il Vangelo della salute del 11/11/2012

Bernardo Strozzi, Elia e la vedova di Zarepta.
XXXII del Tempo Ordinario, “B”.
Questa vedova, nella sua povertà, ha dato tutto quello che aveva.
Dal Vangelo secondo Marco (12, 38-44)
In quel tempo, Gesù diceva alla folla mentre insegnava: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave». E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora,
chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Parola del Signore. 
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Ci stiamo avviando verso la conclusione dell’anno liturgico. Queste ultime domeniche del Tempo Ordinario, a cominciare dalla 30° in poi, rappresentano come una sezione particolare all’interno del tempo Ordinario in cui sono inserite, per il denominatore comune che li caratterizza, e cioè la prospettiva della fine di tutte le cose umane. La consapevolezza di vivere negli ultimi tempi, l’escaton, o comunque  dell’avvicinarsi inesorabile del termine della nostra esistenza terrena rende quanto mai urgente per tutti il decidersi in modo chiaro e inequivocabile da che parte stare, se con Dio o contro di Lui, e di liberarsi dalle incertezze, dai compromessi, dagli equivoci, che fanno parte della nostra vita quotidiana, prima che qualcun altro lo faccia al posto nostro, come per esempio è annunciato per gli scribi nel brano di oggi: “essi riceveranno una condanna più grave”. Nel cieco Bartimeo che lo segue senza condizione, nell’unicità del comandamento dell’amore di Dio e del prossimo e nel gesto della vedova che offre a Dio tutto quanto ha per vivere, Gesù indica tre punti fermi ed irrinunciabili per ogni discepolo del regno. L’alternativa è quella offerta dagli scribi, per i quali è annunciata e assicurata “una condanna più grave”. Gesù ha chiuso la bocca a tutti i suoi oppositori. Ora si trova nel tempio dove insegna alla folla, recuperando un rapporto che sembrava essersi raffreddato (cfr 10,46ss). Se la prende con gli scribi, accusandoli di vanità, di approfittare della loro posizione privilegiata per procacciarsi onori e vantaggi personali, a cui si aggiunge l’accusa di sciacallaggio nei confronti delle vedove, le persone socialmente più deboli, e dell’ostentazione di formalismo religioso. Tutto ciò viene inesorabilmente e gravemente condannato, come qualcosa di assolutamente contrario alle esigenze del regno di Dio. Al comportamento degli scribi, Gesù contrappone l’esempio della povera vedova che invece ha offerto a Dio “tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. La povera vedova è il punto d’arrivo di quella schiera di persone che nell’antico testamento sono chiamati “i poveri di Jahwè”, la cui caratteristica comune era quella di avere soltanto Dio come unico loro bene, l’unico a cui ricorre nelle necessità, e nel riconoscere che era pure l’unico a farsi carico e a prendesi cura di loro. La vedova di Zarepta, di cui ci parla la prima lettura (cfr 1Re 17,10ss), che nella sua assoluta indigenza non si rifiuta di soccorrere l’uomo di Dio, il grande profeta Elia, è uno dei tanti esempi possibili. Ad ogni credente è chiesto di abbandonarsi a Dio allo stesso modo. Gesù infatti sottolinea che la povera vedova “ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri”, perché essa non ha messo del proprio “superfluo”, come tanti ricchi che mettevano tante monete, ma ha offerto a Dio “tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. Nel mettere in evidenza il gesto della povera vedova, Gesù annuncia quanto egli stesso sta per fare, cioè consegnarsi “nelle mani degli uomini” ed essere ucciso. Un evento evocato per ben tre volte consecutive, dopo la confessione di Pietro a Cesarea di Filippo e durante il suo viaggio verso Gerusalemme. All’abbandonarsi completamente a Dio corrisponde il rinnegare se stessi, il prendere la propria croce e il perdere la propria vita per causa di Gesù e del Vangelo, come abbiamo già letto e meditato da qualche mese a questa parte (cfr Mc 8,34-35, XXIV Dom del T. O. ‘B’). Di fronte a tale prospettiva, una religione vissuta con lo scopo di procurarsi onori, privilegi e vantaggi personali, disposti perfino ad approfittare dei più deboli con ogni mezzo, non ha niente a che vedere con il Vangelo. E’ bene ricordarlo, perché la Chiesa di oggi, sia ai suoi vertici, che nella sua base, non è purtroppo al riparo da questo malcostume. Lo denunciava l’allora cardinal Ratzinger nella famosa Via Crucis del Venerdì santo 2005 (cfr il commento alla 9° stazione), riferendosi alla sua più che ventennale esperienza di Curia romana. Lo si sperimenta quotidianamente anche nelle nostre parrocchie e nelle nostre associazioni cattoliche, dove apparentemente non sembra esserci niente di cui avvantaggiarsi, eppure c’è sempre chi, anche nelle situazioni più impensabili, ritiene più importante trarre profitti e tornaconti personali.
Buona Domenica!
 DON MARCO BELLADELLI.

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