venerdì 11 settembre 2020


 XXIV Domenica  del Tempo Ordinario, “A”. 
Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

DAL VANGELO SECONDO MATTEO (18, 21-35).
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e
così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». Parola del Signore. 
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Nel brano del vangelo di oggi Gesù risponde a una domanda di Pietro, raccontando la parabola del servo spietato, che fa parte di un insegnamento molto più ampio e articolato sulla vita fraterna nella Chiesa, nel quale, dopo aver illustrato come dobbiamo comportarci con il fratello che sbaglia, Gesù affronta l’importante tema del perdono fraterno. E’ Pietro stesso a provocarlo, quando chiede: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. La disponibilità dell’apostolo è già più del doppio di quello che normalmente concedevano i maestri della legge israeliti, i quali non andavano oltre le tre volte.
Il “settanta volte sette” di Gesù appare immediatamente come un assurdo sproposito, umanamente improponibile. Per giustificare questa affermazione che va oltre ogni buon senso, Gesù racconta la parabola oggi proclamata, introdotta dal ben noto termine di paragone: “il regno dei cieli è simile a …”, perché non perdiamo mai di vista la meta verso cui deve tendere il nostro impegno cristiano quotidiano, sia come singoli, sia come comunità cristiana, e cioè l’edificazione del regno dei cieli sulla terra. 
Il racconto è abbastanza semplice e lineare. Si articola in tre scene: la compassione del re verso il servo dal grande debito, la cattiveria dello stesso verso il suo compagno e il giudizio di condanna finale, a cui segue il messaggio evangelico con il quale tutti siamo chiamati a fare i conti. I protagonisti principali sono fondamentalmente due, il re e il servo super-debitore.
Per avere un’idea di quali cifre si parla nella parabola, considerate che a quel tempo un talento equivaleva al valore di 35 chilogrammi di oro, moltiplicato per 10.000 si ha l’esatta dimensione del debito, corrispondente oggi a circa due miliardi e mezzo di euro. Sorprendentemente il re-padrone condona tutto l’enorme debito senza condizioni, né contropartite.
Il super-debitore invece fa mettere in carcere un suo pari, che gli doveva 100 denari. Considerando che un denaro era il prezzo di una giornata di lavoro (cfr. Mt 20,2), la somma dovuta ammontava a poco più di tre mesi di stipendio di un operaio di oggi. Al confronto con il valore dei 10.000 talenti, davvero un’inezia.
Informato dell’accaduto, il re punisce duramente il super-debitore perché “non ha avuto pietà del suo compagno”. Alla fine Gesù mette in relazione il comportamento del re con l’agire stesso di Dio Padre: “Così anche il Padre mio celeste farà con voi, se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”.   
Il percorso compiuto da Gesù per arrivare al messaggio sulla necessità del perdono fraterno è tra i più paradossali che troviamo nei vangeli. Infatti dallo sproposito del “settanta volte sette” proposto a Pietro in risposta alla domanda, passiamo all’inverosimile racconto parabolico dove viene condonato un debito assolutamente non ripianabile, per trovarci alla fine davanti ad un insegnamento evangelico chiarissimo e inequivocabile: se non perdonerete di cuore al fratello, neppure il Padre mio perdonerà a voi.  
Per giustificare l’assurdità del suo “settanta volte sette”, nel racconto della parabola il Signore inverte i termini della domanda posta da Pietro. La soluzione al problema non è infatti quante volte io debba perdonare chi sbaglia nei miei confronti, ma consiste in una assoluta disponibilità al perdono, indipendentemente da qualsiasi motivazione, perché se non c’è perdono sincero, non c’è neppure fraternità e non ci sarà perdono neanche per noi da parte di Dio.
Il perdono che ogni cristiano ha ricevuto da Dio è quindi l’unica ragione e nello stesso tempo la misura illimitata che giustifica il perdono fraterno. La smisurata misericordia che muove Dio a perdonare ciascuno di noi senza nessun limite e la gratuità del perdono divino sono gli unici presupposti per i quali dobbiamo perdonarci gli uni gli altri.
Quando Matteo dice che il re-padrone “ebbe compassione di quel servo”, usa lo stesso termine con cui Luca indica la compassione del Padre misericordioso nella più famosa parabola del figliol prodigo (cfr. Lc 15,20). Soltanto l’infinita misericordia divina può giustificare un gesto tanto magnanimo verso il super-debitore, qual è ciascuno di noi davanti a Dio. Perdonando il fratello che sbaglia contro di noi diventiamo di volta in volta sempre più misericordiosi, com’è misericordioso il Padre celeste con noi (cfr. Lc 6,36).
Di fronte alla nostra ritrosia a perdonare chi ci offende, Gesù ci chiede di considerare il debito assolutamente insolvibile che abbiamo nei confronti di Dio. Quando prenderemo veramente consapevolezza di una tale realtà, non ci sarà più nulla da aggiungere e in quel momento risuoneranno nella nostra mente e nei nostri cuori le parole della quinta beatitudine: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Mt 5,7). 
Nella prima lettera ai Corinti S. Paolo ci ricorda che siamo stati riscattati a caro prezzo, al prezzo della passione e morte in croce del Figlio di Dio (cfr. 6,20). Se non comprendiamo questo mistero di misericordia, per il quale ci sono stati perdonati i nostri peccati in una misura per noi impossibile da corrispondere, continueremo a rammaricarci all’infinito delle grandi e piccole offese ricevute. Viceversa, il perdono fraterno è il segno e la testimonianza della efficacia della divina misericordia che ha trasformato i nostri cuori ad immagine di quello di Gesù. Per chi invece nonostante tutto non riesce a perdonare c’è il duro monito della condanna: “Così anche il Padre mio celeste farà con voi, se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”.  
don Marco Belladelli 

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