giovedì 2 luglio 2015

Il Vangelo della salute del 05/07/2015

Nazareth oggi, basilica dell'annunciazione.
XIV Domenica del Tempo Ordinario, “B”
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.
Dal Vangelo secondo Marco (6, 1-6)
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. Parola del Signore.

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Dopo la fede della Emorroissa e di Gìairo, oggi ci confrontiamo con l’opposizione a Gesù da parte dei suoi compaesani. Gesù torna nella sua città di origine e di sabato va in sinagoga. Anche se in questo passaggio Marco non lo dice esplicitamente, sappiamo essere Nazaret la località in cui ha vissuto prima di iniziare il suo ministero pubblico (cfr Mc 1,9).
La sua fama di “Maestro” è giunta anche lì. In molti vanno ad ascoltare il suo insegnamento e sono colti da stupore. Uno stupore che invece di essere via alla fede, porta allo scandalo, cioè rafforza le ragioni che la ostacolano.
Conoscendo bene la storia di Gesù, le tappe della sua crescita umana e il suo percorso formativo, i suoi concittadini non riescono a capacitarsi come possa aver maturato tanta sapienza e compiere tali prodigi. La familiarità e l’assidua frequentazione spesso ci rendono incapaci di cogliere la novità e la diversità dell’altro. Anzi negli ambienti chiusi il rischio più frequente è quello di assumere se stessi come unico criterio di rapporto e di misura delle capacità e delle possibilità di crescita e di sviluppo degli altri. Una miopia che alla fine risulta deviante.
La chiusura a Gesù non è però semplicemente di tipo psico-sociologico. Gesù stesso si meraviglia della loro incredulità e qualifica il comportamento dei nazaretani come “disprezzo per  un profeta”. Gesù non è preoccupato principalmente della sua persona o del suo ministero, ma prima di tutto di Colui che lo ha mandato (cfr Lc 10,16). Si tratta di un vero e proprio rifiuto di Dio. Una reazione, quella di Gesù, che ci deve far pensare se e in quali situazioni questo disprezzo ci può riguardare.
Nel suo racconto Marco mette in evidenza che nonostante lo smacco Gesù “andava attorno per i villaggi, insegnando”. Pur riportando poco o nulla del contenuto dei vari discorsi di Gesù, anzi senza dubbio per l’abbondanza di particolari che riferisce si dimostra più interessato alla sua opera taumaturgica, possiamo con certezza affermare che a suo parere l’insegnamento è e rimane la principale attività di Gesù.
La folla non è attratta dal suo parlare suadente proprio di un affabulatore, o per l’argomentare suggestivo e rigoroso, tipico del filosofo, ma per l’incisività della Parola che apre i cuori. Soltanto dopo averlo ascoltato ci si rende conto che a Gesù si può chiedere qualsiasi cosa, anche quelle impossibili. La Parola di Gesù è una Parola di Dio, Parola di vita. E’ piena della potenza creatrice di Dio e della forza purificatrice e risanatrice dello Spirito Santo. Non ascoltare Gesù e non accogliere dentro di sé la sua Parola, come Parola di Dio, è segno di una durezza di cuore preoccupante.
Ogni uomo è dotato di coscienza, ambito intimo nel quale avviene l’incontro e il dialogo con Dio. L’annuncio del Vangelo, quando è veramente tale, ha la capacità di farci riconoscere la voce di Dio, distinguendola da tutte le altri voci che ascoltiamo, fino al punto da sentirci attratti da questa voce, come quella del nostro Creatore e Salvatore. E dentro di noi c’è come un desiderio profondo, una nostalgia di questa voce. Come dice S. Agostino, “Il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te.”.
Guai a noi se per qualsiasi ragione al mondo perdessimo questa capacità di distinguere, riconoscere e di lasciarci attrarre dalla Parola di Dio, come è capitato alle folle di Galilea di duemila anni fa.
Buona Domenica!
 don Marco Belladelli.

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