sabato 27 marzo 2021

Il vangelo della salute del 28/03/2021

Melozzo da Forlì - Ingresso di Gesù a Gerusalemme - 1477-82 -
Loreto, Santuario della Santa Casa, Sagrestia di San Marco

Domenica delle Palme 

e della Passione del Signore “B”

Benedetto colui che viene nel nome del Signore.

Dal vangelo secondo Marco (Mc 11,1-10)

Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”».

Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare.
Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:
«Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Osanna nel più alto dei cieli!».  Parola del Signore.

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Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco (Mc 15,16-41).

Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.

Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.

Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.

Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.

Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».

Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
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La Domenica delle Palme inizia con la benedizione dei rami d’ulivo e la processione che ricorda l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, salutato dalla folle come il figlio di Davide, il Messia atteso e continua poi con la lettura del racconto della passione di uno dei tre sinottici. Questa articolazione della liturgia è il risultato dell’incontro di due tradizioni, quella di Gerusalemme nella quale si rivivevano passo dopo passo gli ultimi giorni della vita di Gesù, e quella di Roma nella quale invece si metteva al centro della celebrazione l’evento doloroso e scandaloso della morte in croce di Gesù con la proclamazione del racconto della passione

Sta per compiersi l’evento fondamentale per la salvezza dell’umanità. La Settimana santa è dominata dalla croce, nella quale si riassumono tutti i momenti e gli aspetti della sofferenza di Gesù, dal tradimento all’abbandono di tutti, dalle umiliazioni alle torture, dalla crocifissione fino alla morte, tutte sofferenze conseguenti al “se tradidit” di Gesù, cioè al suo consegnarsi nelle mani degli uomini per essere ucciso, nella più assoluta fedeltà alla volontà del Padre, nella quale si manifesta il grande gesto di amore di Dio, che non avremmo mai potuto meritare, né tanto meno immaginare, come dice Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.” (15,13).

Con in mano i rami d’ulivo, accompagniamo Gesù fino al Calvario, in attesa della sua risurrezione, perché sappiamo bene che in nessun altro c’è salvezza. Una partecipazione che chiede anche a noi di disporci a condividere la stessa sorte del Signore, come lui stesso ci ha più volte ricordato nel vangelo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). 

Nel vangelo di Marco i capitoli 14° e 15°, dedicati al racconto della passione e morte, sono il vertice di tutta la narrazione evangelica. Con molto realismo, Gesù è descritto come il Signore che sa tutto e che tutto determina. Pienamente consapevole di quanto sta accadendo, con la libera volontà che lo ha sempre contraddistinto, egli va per la sua strada per consegnarsi nelle mani degli uomini. Egli non fa affidamento sui mezzi umani, ma conta soltanto su Dio e la sua potenza. Una inerzia e una impotenza di fronte ai nemici che è causa di scandalo per i discepoli, ma il cammino determinato da Dio porta alla vita, non alla rovina. Tutto questo però non annulla la responsabilità di coloro che si sono schierati contro di lui, a cominciare da Giuda, i capi del popolo, i membri del sinedrio, Pilato, Erode e i soldati che lo hanno torturato e crocifisso.

Gesù decide di passare gli ultimi momenti della sua vita con gli apostoli, una comunione che trova il suo vertice nella cena pasquale preparata con meticolosità, quando nella novità dei gesti stabilirà con loro una comunione ancora più stretta con lui e tra di loro, al centro della quale c’è l’esperienza dell’amore di Dio, manifestato dai gesti e dalle parole di Gesù stesso, che nei segni del pane e del vino dona tutto se stesso, perché d’ora in poi tutti coloro che parteciperanno con fede al perpetuarsi di questi gesti abbiano la pienezza della vita.

Il Getsemani rappresenta per Gesù le sue ultime ore di libertà, caratterizzate da afflizione e angoscia mortale, che egli trascorre nella preghiera in unione con il Padre. Nonostante la sua attenzione e dedizione per i discepoli, essi lo hanno già abbandonato sopraffatti dal sonno, prima ancora di fuggire di fronte ai soldati che verranno ad arrestarlo. La cattura da parte dei soldati del sinedrio segna la fine della sua libertà personale, ma soprattutto il momento in cui “il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori” (14,41), un passaggio di mano in mano, fino alla morte di croce (cfr Fil 2,8).

Quello che per San Marco era la rivelazione più importante che Gesù ha fatto di se stesso: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1), confermata dai gesti e le parole compiuti durante il suo ministero pubblico, dal battesimo di Giovanni fino ad ora, diventa la ragione della sua condanna a morte. Proprio per affermato di essere ‘Figlio di Dio’, il sinedrio considera Gesù un bestemmiatore che merita la morte (cfr. 14,61-64). Nel seguito del racconto, Gesù viene più volte ridicolizzato in quanto Figlio di Dio, fin quando dopo la sua morte il centurione sotto la croce farà propria questa espressione per manifestare la sua fede, esclamando: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”.

Dopo la condanna a morte, il rinnegamento di Pietro segna in qualche modo anche il fallimento della sua opera. Ora Gesù è davvero ‘solo’ con se stesso. La differenza tra Pietro e Giuda sta nel fatto che nel cuore del primo tra gli Apostoli trovano ancora posto le parole di Gesù tanto da suscitare il suo pentimento e l’attesa del ricongiungimento con lui in Galilea dopo la risurrezione.

Pilato capisce subito che il problema Gesù non è una questione giudiziaria, ma politica. Alla fine egli si limita a ratificare le decisioni del sinedrio, che per dare forza alle loro ragioni hanno aizzato la folla per intimorirlo. In tutto questo Gesù mantiene la sua libertà interiore, rispondendo con franchezza soltanto per riaffermare la sua identità di Figlio di Dio e la sua fedeltà al Padre.   

Ora tocca ai soldati eseguire quanto stabilito dalle autorità. La crocifissione è l’ultimo atto del suo annientamento. Alla fine è stato più facile del previsto per i Giudei liberarsi di Gesù, il falso Messia. Non hanno incontrato nessuna opposizione da parte di chicchessia che abbia preso le sue parti, ma non hanno fatto i conti con Dio, con la sua sapienza e potenza che scaturisce proprio dalla croce del Figlio (cfr 1Cor 1,23-24). Paradossalmente, quello che viene detto sotto la croce non è altro che una proclamazione della potenza dell’uomo crocifisso. Proprio quando gli uomini hanno terminato la loro opera entra in azione Dio che avvolge il mondo di tenebre e impone il silenzio, squarciato soltanto dal grido di Gesù che chiede di essere liberato da quella condizione miserevole e viene esaudito. La fede di un pagano e l’attaccamento delle donne che non hanno mai abbandonato Gesù, è il punto di partenza per una nuova vita nella gloria di Dio. 

La sepoltura è la conferma che Gesù è veramente morto e il segno della condivisione del cammino di ogni uomo fino alla passività del cadavere posto nel sepolcro. Ora però i suoi nemici si sono ritirati e Gesù è nelle mani affettuose dei suoi amici che si prendono cura di lui con i pietosi gesti della sepoltura, a cui segue il silenzio del sabato santo, evocatore dell’inquietudine del cuore umano quando è lontano da Dio, come disse S. Agostino: “il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te” (Confessioni 1,1.5). 

La fede del Centurione anticipa la fede di molti altri uomini che in ogni parte del mondo seguiranno il suo esempio. Si realizza così la parola profetica di Gesù e che abbiamo ascoltato la scorsa settimana: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,31). Gesù è il dono più grande che Dio ci abbia fatto, più grande della nostra stessa vita. Concludiamo il nostro cammino quaresimale lasciandoci attrarre da Cristo. Prostrati davanti alla sua croce apriamo i nostri cuori ad accogliere questo dono d’amore e chiediamo sinceramente perdono dei nostri peccati. Nella sincera conversione del cuore, come nel giorno del Battesimo proclamiamo: “Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù, nostro Signore!”. Con l’augurio di una buona Settimana Santa! 

                                                               don Marco Belladelli. 

 

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