mercoledì 15 giugno 2016

Il Vangelo della salute del 19/06/2016

Duccio di Buoninsegna, Gesù parla agli Apostoli, coronamento della Maestà, duomo di Siena.
XII Domenica del Tempo Ordinario, “C”.
Tu sei il Cristo di Dio.
Il Figlio dell'uomo deve molto soffrire.
Dal Vangelo secondo Luca (9, 18-24).
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».

Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà». Parola del Signore. 

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Il brano di oggi è tradizionalmente conosciuto come la confessione di Cesarea di Filippo, per le indicazione di luogo che troviamo nei racconti paralleli di Matteo e Marco. Luca invece parla soltanto di un luogo solitario, cioè lontano dalla folla e da altri fattori che non avrebbero favorito il confronto, il dialogo e il raccoglimento. Gesù vi si era ritirato infatti per “pregare”. La preghiera contraddistingue i momenti più importanti della vita di Gesù, dal battesimo al Giordano, alla scelta dei Dodici, alla trasfigurazione. Per mezzo della preghiera egli vive costantemente in comunione con il Padre. Anche questo passaggio rappresenta allora un momento altrettanto importante.
La domanda rivolta da Gesù ai discepoli: “Le folle, chi dicono che io sia?”, non è una semplice curiosità auto referenziale, come si usa fare oggi con i sondaggi per misurare l’impatto di un determinato evento  sull’opinione pubblica, ma è la premessa per una sua più completa e totale rivelazione. Secondo i discepoli, la folla considera Gesù come uno dei grandi profeti dell’antico testamento, quindi uno che senza dubbio parla in nome di Dio. Quando invece Gesù interpella direttamente loro, Pietro risponde per tutti e dice: “Il Cristo di Dio”. Il titolo Cristo equivale all’ebraico Messia, quindi non uno dei tanti profeti, come pensavano le folle, ma l’Inviato promesso da Dio e atteso da tutto il Popolo. Per Gesù quella di Pietro non è semplicemente il riscontro di quello che il principe degli apostoli pensava di lui, ma un esplicito primo e fondamentale atto di fede nella sua persona. Il punto fermo su cui poggiare la successiva rivelazione di sé, molto più ostica da accogliere, cioè il mistero del servo sofferente, di cui tra l’altro comincia immediatamente a parlare.
Sorprende l’ordine perentorio di non parlare a nessuno di questo fatto. E’ il cosiddetto segreto messianico, molto più frequente in Marco. Soltanto la fede ti fa conoscere realmente Gesù. Tutte le altre modalità di approccio non permettono di cogliere a pieno il mistero che è in lui, cioè il Dio fatto uomo, e neppure la realtà del regno che egli è venuto ad annunciare ed ad inaugurare.   
Dopo la professione di fede di Pietro, la vera novità introdotta da Gesù è appunto l’annuncio della passione, morte e risurrezione. E’ il primo di una serie di tre che scandiscono il progressivo avvicinamento a Gerusalemme, dove tutto si compirà. Gesù intende la sua fine sempre come un unico evento preceduto dal quel “deve” che indica la volontà e l’opera di Dio Padre a cui Gesù aderisce liberamente e totalmente.
Nella prospettiva di una fine drammatica, mutano anche le condizioni per seguire Gesù. E’ necessario “rinnegare se stessi, prendere la propria croce e perdere la propria vita. Si tratta prima di tutto di disposizioni interiori che rendono i discepoli simili al Maestro, cioè capaci di offrire se stessi a Dio. Ma cosa vuol dire rinnegare se stessi, prendere la croce e perdere la propria vita? Soltanto vivendo accanto a lui, condividendo il mistero della  sua viva presenza di risorto tra noi sarà possibile maturare in noi queste disposizioni d’animo. Ricordo che quando ancora svolgevo il mio ministero in ospedale, un paziente mi confidò quanto fosse per lui consolante e di conforto il pensiero della risurrezione, soprattutto nel tempo della malattia, quando si deve inevitabilmente fare i conti con l’esperienza e il mistero del nostro disfacimento. Diceva: “Molti credono che la risurrezione consista in un ritorno alla condizione terrena, invece ho capito che è qualcosa di completamente nuovo. Per questo per noi è difficile da immaginare, ma nello stesso tempo molto esaltante”.
Buona Domenica!
don Marco Belladelli.

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